Inutile fare paragoni fra quel Toro di Ventura e questo di Mihajlovic: questo esiste perché per cinque anni è esistito quell’altro. La tanto decantata crescita è avvenuta quando col cambio di allenatore, ciò che era stato costruito prima dal nulla (è bene ricordarlo) si è potuto trasformare in altro grazie ad un’iniezione di nuove idee e nuova mentalità. Quella mentalità che permette ai granata di essere sfrontati e solidi con le grandi e d’ora in avanti, speriamo, cinici e determinati con le piccole. Lazio e Inter saranno due banchi di prova interessanti non tanto per i risultati, quanto per confermare se la filosofia dell’allenatore serbo ha davvero messo radici nella testa dei giocatori. Se il Toro lotterà su ogni pallone, attaccherà senza mai essere rinunciatario e terrà sempre alto il ritmo del pressing quando è in fase difensiva e delle giocate d’attacco quando è in fase offensiva allora vorrà dire che davvero questa sarà una stagione della svolta e non solo, come a Carpi o a Palermo, una partita della svolta. E’ questo il compito più difficile che da Hart a Belotti toccherà ai ragazzi che scenderanno in campo: confermare con le prestazioni che la squadra è di nuovo ad immagine e somiglianza dei suoi tifosi. Europa League? Champions? Scudetto? Nulla è precluso, ma nulla è dovuto nel momento in cui il Toro gioca da Toro. I risultati di una squadra dipendono da troppi fattori, il suo atteggiamento in campo solo da mister e giocatori. Sognare risultati fantastici è lecito, trasformarli in realtà molto difficile, ma vedere coi propri occhi che chi sostieni è esattamente come lo vorresti, non ha prezzo. Non è vero che chi s’accontenta gode: ma chi gode (e noi lo stiamo facendo) può anche prendersi il lusso di accontentarsi.
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