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I tribolati anni ’50 del Torino, caratterizzati da un continuo viavai di calciatori e dirigenti, si chiudono con l’onta della prima retrocessione, esattamente dieci anni dopo la tragedia di Superga. Eppure anche una stagione così disgraziata ha il suo momento da ricordare, quello in cui il Talmone Torino diventa semplicemente Toro e guidato da Giuseppe Virigili, soprannominato Pecos Bill per la capacità di impallinare i portieri avversari, vince il derby trasformando il Comunale nel caro vecchio Filadelfia di qualche anno prima, quando spesso i bianconeri uscivano dal campo con le ossa rotte. La stagione 1958/59 si apre con due importanti e non gradite novità. Sulla scia dell’esperienza del Vicenza con la Lanerossi, il presidente Mario Rubatto stipula un accordo con la cioccolateria Talmone, oggi Venchi, per una sponsorizzazione di tre anni. Il prezzo da pagare è doppio: una T sul petto e il nome della squadra che diventa Talmone Torino. Vedendo le maglie odierne ricche di sponsor in ogni dove non sembrerebbe nulla di scandaloso, ma pensate che shock possa avere causato all’epoca vedere una T inelegante e fuori scala “sporcare” le maglie granata. Enzo Bearzot ricorda con ben poco piacere quando durante l’annata, complici gli scarsissimi risultati, lui e i compagni venivano chiamati dispregiativamente “cioccolatai”. Il secondo cambiamento riguarda la casa del Toro che lascia il Filadelfia per trasferirsi al Comunale. Con la curva Maratona come la conosciamo ancora di là da venire, passare dal campo in cui il Grande Torino vinceva scudetti in serie con la gente attaccata al campo per trasferire il proprio amore direttamente ai giocatori a uno stadio più grande e col pubblico più distante non è cosa da poco. Semplicemente, non era ancora il momento. Eppure non era cominciata male. Il Toro esordisce con un roboante 6-1 interno all’Alessandria, ma è un fuoco di paglia: ne prende tre a Genova sponda Samp, pareggia in casa col Vicenza e subisce un poker a Bari dove si registra la prima rete in campionato di Virgili, acquistato dalla Fiorentina che aveva contribuito a conquistare il suo primo storico scudetto nel 1955/56 e a raggiungere la finale di Coppa dei Campioni l’anno successivo. In mezzo due gol e mezzo al Brasile di Gilmar, Didi e Djalma Santos in un’amichevole con la Nazionale. La vittoria di misura contro la Triestina grazie a una rete di Gino Armano a 5’ dal termine sembra far riprendere la marcia verso un campionato tranquillo, ma è solo un’illusione. É il 19 ottobre 1958: la vittoria successiva arriverà il 15 marzo 1959, proprio nel derby di cui stiamo per parlare.
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In quei cinque mesi sportivamente terrificanti il periodo peggiore è a cavallo fra dicembre e gennaio dove la squadra granata perde cinque partite consecutive con risultati allucinanti: 5-1 nella Milano rossonera, 0-5 in casa con l’Inter, 3-0 contro la Spal, 0-6 interno con la Fiorentina, 4-0 a Padova. Contro la Roma, all’ultima di andata, il giallorosso Guarnacci ci nega il successo all’87’, contro la Samp Armano ci illude, ma Milani e Cucchiaroni rimontano, a Trieste Bresolin al 90’ impatta la rete di Virgili facendoci pensare che, probabilmente, non vinceremo mai più una partita in vita nostra (Ettore Barra qualche giorno dopo scriverà su La Stampa “Finora la squadra granata ha avuto avversa la fortuna. Non diciamo che con una miglior sorte avrebbe sempre vinto, le sue forze erano comunque limitate, ma pure le partite che avrebbe potuto sperare di non chiudere a mani vuote le sono sfuggite in circostanze che hanno avuto quasi del diabolico”). Nonostante ciò, con due retrocessioni, la salvezza è ancora fattibile: Triestina e Udinese sono a un punto, l’Alessandria a tre. Anche per questo si prova a ingaggiare l’apolide Istvan Nyers, già protagonista con la maglia dell’Inter, ma le norme sui tesseramenti non lo permettono e non si va oltre a un paio di allenamenti con la squadra. Davanti a quarantamila spettatori la Juventus di Charles, Nicolè e Sivori inizia compassata di fronte a un Toro che, contro ogni pronostico, si veste di una furia antica. Dopo otto minuti gli uomini allenati dall’ungherese Senkey, quarto tecnico della disgraziata stagione, segnano grazie a una topica madornale del portiere bianconero Vavassori. Sul retropassaggio di Colombo una zolla malandrina fa saltare il pallone poco dopo il dischetto del rigore, ma ciò che combina l’estremo difensore bianconero è tutta farina del suo sacco: buttatosi per bloccare il pallone con le mani se lo lascia sfuggire e Virgili, in agguato, è bravo a trovare l’equilibrio per fiondarsi sulla sfera e insaccare nella porta sguarnita.
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I tifosi granata sono quasi stupiti da tanta benevolenza della dea bendata, ma al 27’ le cose sembrano mettersi come sempre quell’anno: John Charles si trova sul fondo dalla parte sinistra dell’area e calcia rasoterra da posizione impossibile, quella dei gol “alla Mortensen” per intenderci, ricordando la rete subito da Bacigalupo nel famoso e famigerato Italia-Inghilterra 0-4 disputato proprio da quel terreno. Il giovane Lido Vieri si butta sul pallone, ma, sfiorandolo, non fa altro che agevolare la sua lenta corsa verso la porta. “Pinsa” si dispera per il pareggio subito, ma avrà modo di rifarsi. Così come, immediatamente, si rifà tutto il Toro. Al 30’ Armano affonda sulla sinistra, con la difesa juventina distratta dopo un calcio di punizione fischiato a metà campo, e mette al centro dove Virgili si fa trovare pronto per buttare il pallone nel sacco riportando immediatamente in vantaggio i padroni di casa. Non è finita: al 34’ “Pecos Bill” sigla la sua rete più bella scattando su un lunghissimo lancio di Ganzer e calciando in corsa di destro fra due difensori. Il diagonale gonfia la rete e porta il Toro sul 3-1. Il tempo potrebbe chiudersi addirittura con la quarta rete, ma Vavassori salva su una conclusione precisa di Bertoloni. I sostenitori granata passano l’intervallo fra l’incredulità per il rotondo risultato e il timore che possa materializzarsi qualche altra beffa. Giià al 49’ le peggiori paure prendono forma dalle parti della Maratona: Charles scatta in fuorigioco, rilevato dal guardalinee, ma non dall’arbitro Orlandini, e Bonifaci ferma tutto con una mano. Calcio di rigore, seppur contestato per la posizione del gallese che si incarica della battuta. Lido Vieri, già distintosi con un paio di grandi parate nella prima frazione, respinge il tiro centrale dell’avversario e, soprattutto, si butta con ferocia per evitare che il numero otto segni sulla respinta. Allora è proprio giornata.
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La ripresa vede attacchi bianconeri e risposte granata con Virgili che potrebbe rimpinguare ulteriormente il suo bottino da sogno. Vieri deve inchinarsi solo a un rasoterra di Nicolè su assist di un discontinuo Sivori a poco più di 20’ dal termine, ma Bearzot e compagni resistono e portano a casa un successo inaspettato, ma meritato. Pecos Bill non lo sa, ma grazie alla sua tripletta il Toro eguaglia, in una delle stagioni più disgraziate della sua storia, il numero di stracittadine vinte dal presidente Cairo in vent’anni di presidenza. Lido Vieri, migliore in campo con Virgili tanto che il compagno Grava ipotizza che avesse le molle sotto i piedi per tutte le parate fatte, si lascia andare a una serie di salti mortali in campo trovando anche il tempo di giocare con un bambino entrato in campo. La Stampa riporta di curiose scommesse da pagare per alcuni tifosi juventini che erano imprudentemente sicuri del successo: un macellaio di Barriera di Milano, noto bevitore, per un mese consumerà solo acqua, un sostenitore bianconero farà da autista per due settimane a uno del Toro, un residente di Corso Orbassano dovrà invitare per cinque sabati consecutivi tre amici granata a vedere il Musichiere rifocillandoli su comode poltrone mentre lui dovrà sedere a terra. La luce sembra essersi riaccesa per il Torino e nelle successive tre partite pareggia a Bologna, supera di misura la Lazio e strappa un 2-2 a Napoli. La sconfitta interna contro l’Udinese nel finale e il secco 3-0 in casa del Genoa compromettono tutto. Il distacco dall’Udinese è incolmabile: la sconfitta contro la Roma sancisce la retrocessione in B, la prima della storia. L’anno successivo, tornando al Filadelfia, il Toro inizierà a costruire mattone dopo mattone la sua vera rinascita che culminerà con lo scudetto del 1976. Non è assolutamente un caso che nel 1959/60, rientrato da un prestito al Varese dopo un anno in cui ha anche trovato l’amore, un giovane centrocampista biondo giocherà la sua prima stagione da titolare prendendosi il centrocampo granata sulle spalle: ovviamente stiamo parlando di Giorgio Ferrini.
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Classe 1979, tifoso del Toro dal 1985 grazie a Junior (0 meglio, a una sua figurina). Il primo ricordo un gol di Pusceddu a San Siro, la prima incazzatura l'eliminazione col Tirol, nutro un culto laico per Policano, Lentini e...Marinelli. A volte penso alla traversa di Sordo e capisco che non mi è ancora passata.
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