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Antonio e Maria Pia Ballarin: “Il Toro è un amore che viene tramandato”

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In esclusiva su Toro News le toccanti dichiarazioni dei fratelli Ballarin, che permettono di tenere vivo il ricordo delle pagine più importanti, ma anche tragiche della storia del Torino
Enrico Penzo
Enrico Penzo Redattore 

"Ricordare mio padre e mio zio significa continuare a farli vivere. Vedere che ogni anno tanta gente li ha in mente mi fa pensare che siano ancora tra noi". Così comincia il racconto di Antonio e Maria Pia, figli di Aldo Ballarin, uno degli Invincibili che il 4 maggio 1949 perse la vita nel tragico incidente di Superga. I due fratelli in esclusiva su Toro News hanno ripercorso la storia del padre e dello zio (Dino Ballarin), condividendo i loro ricordi, le emozioni provate il giorno della Tragedia ed i loro pensieri sul Toro. In occasione del 75º anniversario della Tragedia di Superga ecco le toccanti dichiarazioni dei fratelli Ballarin, che permettono di tenere vivo il ricordo delle pagine più importanti, ma anche tragiche della storia del Torino.

Eravate molto piccoli quando la Tragedia di Superga ebbe luogo, avete qualche ricordo di vostro papà e vostro zio?

Antonio: "Io avevo quasi quattro anni. Ricordo le parole di mia mamma, mi diceva che quando il papà ci portava i regali giocavamo continuamente assieme a lui. Però un ricordo presente della persona non lo ho".

Maria Pia: "No assolutamente, non ricordo nulla. Mi sembra di averli sempre visti perché ho sempre guardato filmati e fotografie. Fino ai quindici anni immaginavo mio papà come un angelo, non mi rendevo conto fosse stato un campione. Mia mamma me lo ha sempre presentato come un angelo in paradiso e io l'ho sempre pensato così. Durante le difficoltà mi rivolgevo a lui e lo pregavo. Per me mio papà era quello, non un campione. A quindici anni ho capito veramente chi fosse e allora mi sono interessata alla sua vita. In particolare un giorno a sedici anni sono andata a Torino in un grande cinema dove sullo schermo hanno proiettato le immagini degli Invincibili. Quando hanno acceso le luci vedere tutti i presenti in lacrime mi ha fatto capire che a piangere non ero solo io. Allora ho capito quanto fosse amato mio padre e che aveva fatto qualcosa di importante".

Ci potete raccontare come la famiglia ha vissuto quel tragico 4 maggio 1949?

Antonio: "Abitavano tutti al Filadelfia, li vivevano tutti i giocatori. Quel giorno mia mamma non aveva sentito il rumore dell'aereo, ma verso le cinque e mezza hanno battuto alla porta e ricevuto la notizia. Quello è stato un colpo enorme, infatti mia mamma non ha voluto andare a vedere le salme. É rimasta a casa e si è chiusa nel suo dolore. A riconoscere i corpi è venuto da Chioggia il fratello. All'inizio dell'incidente è stato l'allenatore a riconoscere i ragazzi, lui non era potuto partire per dei suoi problemi. Risultava che avessero trovato mio papà più distante dall'aereo e lo avessero riconosciuto inizialmente dal passaporto".

Maria pia: "Io ho saputo i particolari da una mia zia che mi ha cresciuta come una seconda mamma. Lei mi ha raccontato alcune cose di quel momento terribile. Ha visto mio padre dentro la cassa ancora scoperta, ha visto anche Dino. Mi ha raccontato che siamo stati fortunati perché abbiamo potuto riconoscerli, perché alcuni calciatori purtroppo sono stati riconosciuti soltanto grazie a qualche oggetto che era con loro. Quindi questi ricordi me li ha tramandati mia zia. Mia mamma non ha mai parlato, ha vissuto la tragedia con una grande devozione per mio padre. Io la ricordo vestita sempre di nero e spesso andavo con lei al cimitero. Io raccoglievo i fiorellini e non mi rendevo conto dell'accaduto. Ero triste, sono stata una bambina molto triste e mi sono portata dietro questa tristezza per tutta la vita".

Sono passati 75 anni eppure il ricordo del Grande Torino è tutt'ora inciso in maniera indelebile nella storia del calcio. Secondo voi, in quanto diretti testimoni, perché quel Torino era così unico?

Antonio: "Era finita la guerra. L'Italia era in difficoltà economicamente e come immagine nel mondo. Quindi vedere dei giocatori che portano in alto l'amore italiano suscitava seguito. Le vittorie erano una specie di rivincita dopo la guerra persa. A rendere unica la squadra era l'unità. Finita la partita, dopo la doccia, si trovavano tutti giocatori con le famiglie e andavano a parlare della partita, di come avevano giocato... Poi si stava assieme anche a cena e quindi il passatempo della squadra era stare in compagnia con le famiglie. Non c'erano le macchine private e quindi i giocatori si muovevano a piedi e si chiacchierava assieme. Mia mamma mi raccontava che scherzavano continuamente. La forza, l'unità, la professionalità e l'onestà hanno rafforzato ancor di più l'amore verso la maglia e verso Torino, creando quindi una rivincita dell'Italia. Dal ciclismo al calcio è stata la rivincita dell'Italia, creata da Coppi e dal Grande Torino".

Maria Pia: "A quei tempi si usciva da una brutta guerra e quindi vedere risorgere il calcio nazionale con una squadra così unita in un periodo difficile ha reso ancora più grande il ricordo. Mio padre era una persona semplice, viveva soltanto per giocare a calcio e seguire la sua famiglia. Poi il Torino per un po' di anni è sempre stato vincitore del campionato. Per tanti motivi sono rimasti nel cuore. Poi per come sono scomparsi... Probabilmente se avessero continuato a vivere ognuno avrebbe preso la propria strada e ci si sarebbe dimenticato di questi grandi calciatori. Ma con questa morte loro hanno segnato la propria vita ed il ricordo legato a loro. 

Se doveste raccontare ai più giovani cosa significa tifare Torino che cosa gli direste? Spesso si sente dire che essere del Toro significa dire essere diversi, cosa vuol dire?

Antonio: "Il tifoso del Torino è un tifoso particolare perché la maglia ce l'ha nella pelle. Si ha sempre in mente il Grande Torino che chissà quante vittorie avrebbe fatto. Il Torino ha una tradizione di sfortuna. Dopo la Tragedia di Superga ci sono stati giocatori importanti e titolari come Ferrini, che sono deceduti troppo presto. Essere tifosi del Torino, entrare allo stadio e sentire la canzone del Torino fa venire i brividi. Vedi quell'enorme massa di giovani, di bandiere e tutti assieme guardano la squadra. Quando sono andato a Superga e vedo tutte le famiglie che vanno dietro la Basilica mi rendo conto dell'amore unico per la squadra. Essere tifoso del Torino significa amare una squadra non competitiva come tutte le altre, ma superiore per i valori. Ho avuto la fortuna di andare con il Presidente Cairo, la squadra e Mihajlovic in Portogallo. Siamo andati nel campo dove hanno disputato l'ultima partita, poi siamo entrati negli spogliatoi. Li hanno lasciati uguali al periodo in cui il Torino ha giocato l'ultima partita. Infatti li non è successo come al Filadelfia che è andato distrutto e non ci si poteva più entrare, li hanno mantenuto tutto vivo. Entrare dentro e vedere gli spogliatoi mi ha trasmesso un'emozione enorme. Entrare e calpestare il terreno in cui hanno giocato è stato la fine del mondo. Il ricordo è vivo anche in Portogallo, tra Benfica e Torino c'è un gemellaggio e allo stadio, quando hanno giocato quella partita si vedevano alcuni portoghesi piangere. Anche loro erano granata, è stato proprio un bel ricordo".

Maria Pia: "É un po' difficile in questo periodo, il Torino negli ultimi anni ha deluso. Quindi anche parlando con mio figlio dico sempre che i giovani, i bambini, devono aver ricevuto dai propri familiari un amore profondo per questa squadra, perché le delusioni sono tante. Io dico che la passione per il Toro è un amore che viene tramandato e chi è del Torino si mostra coraggioso. A me dispiace quando sento criticare la squadra, talvolta anche in maniera pesante. Io dico che se una persona ha veramente la fede granata deve sempre amarli, nel bene e nel male".

Cosa manca al Torino di oggi per avvicinarsi ai risultati di un tempo?

Antonio: "Manca la grinta, i giocatori devono sentire dentro la volontà di migliorare continuamente. Invece troviamo per interessi commerciali, di contratti o mercato l'assenza dello spirito di sacrificio, di volontà e di famiglia. Ci vorrebbe più unità tra di loro, proprio come faceva il Grande Torino. Poi quest'anno hanno cominciato a giocare meglio, gli altri anni io non mi divertivo a vedere le partite. Le ultime partite sono state veramente belle. Per me è la mancanza di forza. Il giocatore anche se sa giocare deve avere qualcosa dentro che lo rende campione, altrimenti rimane un buon giocatore, ma non un campione".

Maria Pia: "Io ricordo un grande Presidente, Novo. L'ho conosciuto quando avevo 15-16 anni ed ho visto una grande persona. Per lui la squadra era quasi come una famiglia. Poi ho conosciuto qualche altro presidente, però questa ammirazione è sempre andata scemando. Ho visto in loro delle persone sempre più interessate dal punto di vista economico. Forse un'altra ragione è che non ci sono i mezzi per comprare qualche valido calciatore. Io ritengo che una grande responsabilità l'abbia la presidenza".

 

 

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