Poi li ritrovi festanti nell’assistere alla metamorfosi di un fragile e leggero lepidottero lariano, che volteggia nel campo, timido e ribelle: Gigi Meroni, che troppo presto sbattè le ali sull’algido cemento, con le ali spappolate sotto pneumatici di morte.
Negli anni settanta sono festanti, il ritorno degli dei granata, Pulici, Graziani, Claudio Sala, Radice, tutti abbracciati in un tricolore indimenticabile, l’ultimo. Poi il declino, la lenta discesa, fino all’eutanasia. Erano immobili, con brandelli di Toro tra le mani, francobolli usati, appiccicati su lettere anonime che nessuno vuole spedire, vittime di Cimminelli e Romero: sicari spietati. Infine la resurrezione, l’editore del sorriso, con il nome da capitale egizia, riesumò la mummia granata e le diede nuova vita e dignità.
Adesso sono qui ad un anno dal centenario, pronti a riprendersi la loro storia e ritornare protagonisti nel mondo che gli apparteneva. Attendono il derby, non per vincerlo, ma viverlo, per divorare novanta minuti di rabbia purissima, zolfo e anima, bruciare di Toro.
Un bellicoso popolo di guerrieri, ritorna al Comunale dopo un esodo di sedici anni, avrà la sua arena, attenderà la Juventus, pronto ad urlare al mondo che è meglio essere a pezzi che a strisce… bianconere.
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