Una ragione di più – a mio avviso - per svincolare i destini del Filadelfia e del Torino di Urbano Cairo dal progetto delle aree commerciali, e riportare sotto il segno dell’amministrazione pubblica il nuovo stadio, costruito ovviamente con i soldi dell’impresa privata. Con questi presupposti, il Comune garantirebbe norme e appalti pubblici e trasparenti per la realizzazione del manufatto, la cui gestione potrà poi essere appannaggio di una società ad hoc, a capitale misto pubblico-privato, aperta al Torino Football Club.Fin qui la cronaca. La nostalgia del Fila, invece, è un vulnus antico, mai cicatrizzatosi nell’animo del tifoso granata, ed è un qualcosa che si è fatta strada come un fiume carsico nei sentimenti di più generazioni. E’ di anni recenti l’abbattimento di ciò che restava dello stadio.
Un epilogo imposto da più parti per ragioni di sicurezza, di sanità e, non ultima, dall’attenzione pressante della magistratura per la bonifica della tettoia in Eternit.Ma le ruspe su calcinacci e mattoni del Fila, furono anche lette (a ragione) come una improvvida e infausta divaricazione tra società “Torino 1906” e storia granata, fase ultima di un progressivo sradicamento, che insieme a valori e simboli, cancellava anche un modo irripetibile di concepire il Toro e di stargli vicino. Il Fila era soprattutto questo, vicinanza. Quella vicinanza che produce consuetudini, affetti, conoscenze, compagnia. Dunque, un luogo di amicizia (e di ricordi), in cui l’aneddotica si spalmava tra le persone, offrendo loro dei vincoli con i quali entrare in una dimensione familiare del calcio, di cui oggi sentiamo appunto nostalgia.
Perché il Fila era la culla della società, quella in cui si esprimeva la missione di chi preparava prima che al calcio, alla vita centinaia di “apprendisti calciatori”. Per tutti i giovani, “Pulcini”, Esordienti, Allievi, gli esami non si esaurivano sull’erba, ma continuavano sui banchi di scuola, in famiglia, come se il senso di appartenenza passasse dalla conservazione dell’etica del dovere, del costume, della propria e altrui dignità. Era quanto insegnavano maestri antichi, dal compianto Marchetto a Ellena, a Vatta. Questa era la società Torino Calcio. Era il vivaio, un laboratorio di talenti con cui assicurarsi il futuro. E quando questo lungo filo rosso si ruppe, il Toro cominciò a diventare altro. Ma questa è un'altra storia. Michele Ruggiero (giornalista Rai e autore del libro. 'Acrobazie granata'
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