L’ingresso non era grande. Anzi a dire il vero era piuttosto piccolo a causa del crollo che c’era stato. Si vedevano pali di sostegno e le assi, di quello che un tempo era stato una specie di soffitto, spezzati e divelti sotto il peso dei massi.Davanti alla bocca d’ingresso c’era un gran numero di sfasciumi di roccia rossastra; tra questi scorreva un rivoletto d’acqua anch’esso di color porpora.«Tutto ‘sto rosso porta male» esordì Asso, in piedi a gambe divaricate davanti a quella voragine nera che era l’ingresso.«Non è sempre detto…» ribattei io indicando il colore della mia maglia.«Al diavolo, Cisterna!»Tirò fuori dalla tasca dei pantaloni una pila, l’accese e si avvicinò lentamente. «Tra tutti quelli che sono venuti qua, io sarò il primo a dire cosa c’è davvero qui.» Poi mi guardò con aria di sfida:«E tu Cisterna avrai l’onore di poter dire che eri con me» rise e mi chiese: «Allora, non sei contento?»«Secondo me sarai tu a considerarti fortunato di essere stato con me…» gli risposi. Non so da dove siano venute quelle parole ma mi vennero alla bocca e ne fui contento. Asso mi guardò sbalordito, poi mi voltò le spalle ed entrò.Li vidi sparire subito. Lui e la sua pila.Io mi avvicinai all’ingresso e mi sedetti a terra ad aspettare. Angela accovacciata in fondo alla radura su un piccolo dosso ci stava osservando.Non ricordo quanto tempo sia passato, credo una decina di minuti, prima di sentir arrivare dall’interno della caverna una specie di gemito... Non saprei come dire: era più l’eco di un urlo strozzato, ma l’urlo non era di Asso. Aveva un timbro molto, molto più basso.Poi fu di nuovo silenzio seguito da un rotolare di pietre insieme a passi affrettati. All’improvviso la testa di Asso sbucò fuori dall’oscurità. Lo vidi cadere a terra, rialzarsi e sgusciare fuori dal passaggio reggendosi a terra con le mani. Non potrei dire che fosse bianco in volto: aveva le orecchie viola dallo spavento e la faccia era sporca di fango rosso. I vestiti strappati.«Asso… Asso!» urlai «che è successo?»Non mi rispose. Nascose la faccia tra le mani e cominciò a singhiozzare.«Asso… che è successo?» gli domandai di nuovo.«Sparisci, Fulvio… vattene.»Non insistetti. Gli diedi una pacca sulla spalla, raccolsi la pila che gli era caduta e mi avvicinai all’ingresso. C’era silenzio. Sporsi l’orecchio e dopo un po’ mi parve di sentire dei rumori provenire dall’interno ma non avrei saputo dire che cos’erano. Quello che era certo è che lì non c’era nessuno.Guardai la maglietta granata che nonno Fredo mi aveva dato e cercai di ricordare le sue parole: “Ti aiuterà… Ti porterà fortuna…”“Certamente” pensai, “certamente…” e provai a farmi coraggio.L’ingresso era davvero basso però per fortuna era abbastanza largo anche per la mia mole. Così chinai la testa e con la mano libera mi aiutai ad avanzare tra gli spuntoni delle rocce che mi si conficcavano da tutte le parti. Dopo una decina di passi il soffitto divenne più alto e la caverna si allargò tanto che potevo camminare con le braccia larghe. Feci alcuni passi e mi fermai. Rimasi in silenzio. I rumori che avevo sentito prima di entrare si sentivano ancora più distintamente. Erano strani e c’era qualcosa di metallico in mezzo. Mi strinsi forte nella maglietta e proseguii seguendo la curva della miniera. Ogni tanto tra le rocce per terra mi capitava di inciampare in tratti di traversine di ferro. Puntando la pila vidi che si trattava di vecchi binari arrugginiti mentre dalla roccia umida un paio di gocce mi caddero sulla faccia e sugli occhi.Avevo un gran voglia di andarmene. Chi me l’avesse fatto fare di essere ancora lì non me lo spiegavo se non la possibilità di riuscire a umiliare Asso per una volta nella vita. Poi pensai alla miniera stregata, a quello che si diceva. Pensai a nonno Fredo e soprattutto ad Angela che era là fuori ad aspettare…Così tirai dritto inoltrandomi sempre più in profondità fino a che fui costretto a fermarmi. Illuminai bene con la pila e tastai con la mano. C’era qualcosa di strano. Guardai meglio: si trattava di una porta di legno quasi nuova. La porta era socchiusa e dietro s’intravedeva una luce fioca e da lì si sentivano delle voci. Parecchie voci.Mi avvicinai di più, feci per spingere piano la porta e a quel punto qualcosa mi prese e mi trascinò all’interno.
Mi è difficile dire di non aver provato spavento. Certo. Ma mi è ancora più difficile spiegare ciò che ho visto dopo quando ho riaperto gli occhi: ero al fondo della galleria ma qui nulla era diroccato. Quell’ultimo breve tratto era stato rimesso in ordine. Pali nuovi, luce e per terra tutto era stato ripulito. Era come vedere un’antica stanza ricavata nella roccia. E qui, un gruppo di distinti signori che seduti comodamente a un tavolo mi stavano osservando con aria compiaciuta. Non riuscivo a crederci.Sul tavolo c’era una vecchia radio di legno di inizio Novecento da cui gracchiava una voce. Accanto alla radio c’era mio nonno Fredo che se la rideva e mi guardava come fossi stato l’eroe di tutta la sua vita. Lo fissai sbalordito e quando sentii la sua voce calda e distesa tutto cominciò ad apparirmi sotto una luce diversa. Come a volte capita, ebbi all’improvviso la più chiara delle spiegazioni. Per me che ero un ragazzino…«Ciao Fulvio… allora l’abbiamo fatto scappare il tuo amico Asso, vero?»«Beh… direi di sì, nonno.»«Bene, bene. Allora ti piace qui?»«Sì… ma… cos’è qui?»«Vedi, agli inizi del ‘900 questa miniera, come hai notato, è crollata ed è stata chiusa. Più nessuno è venuto qui ma noi…» e indicò le quattro persone sedute al tavolo, «non volevamo dimenticare i nostri padri che ci hanno lavorato fino all’ultimo.»Annuii.«Un giorno, pochi anni fa, abbiamo deciso di venire qui per costruire qualcosa che li ricordasse per sempre.»«E l’avete fatto?» chiesi.Nonno Fredo sorrise: «Abbiamo fatto due cose.» Con la mano indicò il fondo della galleria. C’era una larga mensola di pietra scolpita a mano. Su un letto di stoffa granata erano posate alcune fotografie illuminate da luci colorate. Accanto c’erano tanti piccoli oggetti personali.«Quando abbiamo deciso di portare qui anche quella radio» quella sul tavolo, precisò nonno Fredo «che era di mio padre ed era quella che usava per ascoltare le partite del suo Torino, non avremmo mai immaginato che qui sotto potesse funzionare. Fuori non prende niente. Qua sotto senti tutto…»Mi fece sedere accanto a quella radio e sentii per davvero la voce del cronista sportivo. Era l’ultima partita del campionato ‘79-’80 e il Torino stava giocando a Bologna per finire meglio che poteva il campionato. Ascoltai insieme a loro qualche azione di gioco e non so se per fortuna o che, forse per la maglia che portavo addosso, quella che mi aveva dato nonno Fredo, mentre ero lì Graziani realizzò il suo secondo gol. Esultammo insieme, saltammo e ci abbracciammo come ragazzini (nel qual caso per me era proprio così…)«Noi vogliamo ricordare i nostri genitori anche in questo modo» fece a un tratto nonno Fredo con gli occhi che gli brillavano. Forse anche per qualche lacrima. «Credo siano contenti di ascoltare tutte le partite qui con noi» e con gli occhi indicava le fotografie. «Soffriamo e ridiamo insieme. A volte piangiamo ma questa è la vita.»Mi rivolse un sorriso amaro. «A volte sono convinto che siano proprio insieme a noi… A volte sono convinto che l’abbiamo voluto loro… tutto questo.»Quel pomeriggio il Toro vinse 2-1 e finì al quarto posto in classifica.Quel pomeriggio lo ricorderò per tutta la vita insieme al sorriso malinconico di nonno Fredo, a quello dei suoi amici. E quello di chiunque fosse stato lì in quel momento.«Mai nessuno è riuscito a scoprire questo posto?» gli chiesi mentre stavo per andare via.«Le nostre voci, quella della radio e le nostre ombre giocano strani scherzi qua dentro…»Pensai alla fuga terrorizzata di Asso e non ebbi più alcun dubbio sulla “leggenda della miniera stregata”.Quando uscii fuori, come mi aspettavo non c’era più nessuno. Neanche Angela.
Sono passati tanti anni da allora. Non sono più “Cisterna”, nel senso che sono diventato perfino troppo magro. E anche i capelli un po’ se ne sono andati. Ma io, dentro, sono rimasto lo stesso.Mio nonno Fredo non c’è più e dopo la morte di nonna Celestina la casa in montagna l’abbiamo venduta. Proprio l’altro giorno ci sono passato davanti e ho visto che l’hanno buttata giù e sopra ci hanno costruito un bel Pub alla moda con la musica hip-hop e l’aperitivo la sera. Credo trasmettano anche le partite di calcio via satellite.Della miniera stregata invece se ne parla ancora, proprio come tutte le vere leggende.Ho posato l’auto in piazza e ho fatto un giro per tutte le strade del paese accorgendomi di non riconoscere più niente. E allora mi sono domandato se sono io quello che è cambiato o se è tutto il resto che è cambiato mentre io sono rimasto fermo al palo. Mi sono guardato attorno e mi è venuta voglia di scappare. Però non l’ho fatto. Prima volevo ancora delle risposte a domande che da tempo mi giravano per la testa.In fondo è per quello che sono tornato qui.Ho camminato per un po’ in paese chiedendo se qualcuno si ricordava di un ragazzo soprannominato Asso: tutti hanno alzato le spalle.Poi ho provato a fare un altro nome e mi hanno indicato una trattoria lungo la strada, poco fuori il paese. L’ho trovata subito, mi sono seduto al tavolo e all’improvviso ho capito di essere a casa.«Cosa desidera mangiare?»«Che cosa mi consiglia?»La padrona del locale mi guardò incuriosita. Era una donna longilinea e attraente. Era la stessa che ricordavo, solo con qualche anno in più.«Tu sei…» fece.«Sì» risposi laconico. «Come mi hai riconosciuto?»Sorrise e mi indicò la maglietta che indossavo. Quella granata che mi aveva dato nonno Fredo quel giorno. L’avevo messa… non ricordavo neanche perché.«Come stai?» le chiesi. Ero imbarazzato ma molto meno di tanti anni prima.«Bene. E… tu?» si sedette accanto a me. Quando la cameriera mi posò accanto il cestino del pane un paio di briciole mi caddero sul braccio. Lei allungò la mano e me le tolse con delicatezza:«Scusa. A volte lei è un po’ grossolana.»Le sorrisi. Parlammo per un po’ finché chiese quello che mi aspettavo.«Senti Fulvio, ma… che cosa hai visto davvero quel giorno dentro la miniera? Nessuno lo ha mai capito…»La guardai. Era davvero bella.La verità a volte può essere doppia e ci sono verità che non possono essere dette. Alcune verità sminuiscono il senso di molte cose. E alcune di queste cose sono quelle che ci fanno vivere dando importanza a ciò facciamo ogni giorno.Una verità non l’avrei mai detta e sarebbe scomparsa con me. L’altra verità l’avevo di fronte.«Beh. Ho visto qualcosa di straordinario» dissi.«Oh, e che cosa?»«Tu.»
Massimo Ellena è nato a torino nel marzo 1968. Accanito tifoso del Toro, probabilmente da prima della nascita, ha al suo attivo due romanzi ("Oltre le colline del cielo" e "Fino alla 24ma luna" - editi da Elena Morea Editore) che hanno riscosso un notevole succeso di critica e pubblico.
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