Questo libro così strano ci riguarda per due motivi. Primo, perché la comunità granata, produttrice instancabile di Mito, subisce alcune delle ossessioni che solitamente attraversano una mente letteraria: in particolare l’odio per la normalità, il bisogno di mettersi nei pasticci per dare il meglio (basta pensare ai play off delle ultime due stagioni: alla differenza tra la partita che abbiamo fatto con il Perugia dopo averlo battuto fuori casa… ovvero: la nostra incapacità di affrontare serenamente una discesa; e quella con il Mantova dopo averne presi quattro… ovvero: la nostra capacità di diventare, feriti e in salita, insuperabili). Secondo, perché a parte le più drammatiche e irresistibili, alcune delle umiliazioni raccontate nel libro nascono dalle esagerate aspettative con cui questi scrittori si erano presentati all’appuntamento con la realtà: in altre parole, con un po’ di timore e disincanto sarebbero state evitabili. Senza voler passare per presuntuoso, infatti, di umiliazioni del genere ne so qualcosa anch’io (memorabile quella di Sanremo, anni fa: invitato nei giorni del Festival dal direttore del Club Tenco a parlare del mio libro su Luigi, al mio arrivo scopro che il pubblico è composto esclusivamente da ultra ottantenni; ma il bello viene a metà della presentazione, quando capisco che si tratta di una comitiva di anziani in gita, momentaneamente “parcheggiata” dalla guida nella sala in cui ci troviamo... improvvisamente infatti si alzano tutti e, facendomi teneramente “ciao” con la mano, si dirigono rumorosamente verso l’uscita; il direttore continua senza battere ciglio, si rivolge all’unica persona rimasta nella sala spiegandole chi sono e cosa faccio nella vita: e quella è la mia ragazza…).
Per concludere, dunque, questo libro entra in Fuoriarea come di monito: per non dimenticare più chi siamo e stare con i piedi ben piantati a terra. Noi e soprattutto la squadra. Fin dalla prossima partita a Siena, perché le Umiliazioni per essere mistiche e salvifiche devono essere poche. Come dice la frase d’apertura, dobbiamo riprendere a “viaggiare nella direzione della nostra paura”. Soprattutto quella sana, sanissima paura di retrocedere di nuovo che non avrebbe dovuto abbandonarci tanto presto.
E poi, a quel punto, tirare semplicemente fuori le palle.
Un abbraccio a tutti, Marco
Si è parlato di:
a cura di Robin Robertson, Le umiliazioni non finiscono mai, Guanda, 2005
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