"È stata - prosegue Marco - una giornata intensa: 3210 metri di dislivello, 100 km percorsi e 5 ore e 30 minuti di attività. Ogni ascesa mi ha impegnato tra i 24 e i 30 minuti, ma non si è trattato solo di fatica fisica. Mentre pedalavo, ripercorrevo mentalmente le annate dei nostri scudetti, ricordando le emozioni, i nomi e le storie che li hanno resi unici". Ed ogni pedalata sa di una giornata: una vittoria, un pareggio, una sconfitta. Le facce triste dei giocatori dopo un gol preso o la Maratona in festa dopo una rete segnata. "Ogni scalata e ogni scudetto ha qualcosa di unico: lo scudetto del 1928, ovvero, il primo sigillo. Quello del 1943 in piena seconda guerra mondiale, il terzo nel 1946: ovvero, il primo nel periodo post bellico. Il 1947, bissando il successo dell'anno precedente, il 1948: ovvero, l'ultimo scudetto festeggiato direttamente dal Grande Torino. Il sesto del '49, che corrisponde a - penso - il primo e unico scudetto postumo. Infine l'ultima ascesa, fatta con tutte le energie rimaste per celebrare il 16/5/76 il settimo sigillo, affrontando la salita pensando al Tremendismo e all'incornata di Pulici per il gol scudetto all'ultima giornata". Ogni scalata una stagione, fatta di gioie e dolori, di pensieri, sofferenze ed esultanze. Ma ogni pedalata fatta con una certezza in testa e nel cuore: al termine della salita ci sarà la vittoria.
"Il pensiero alla sesta scalata è andato inevitabilmente al Grande Torino e a quel tragico 4 maggio 1949. I miei nonni e i miei zii lo hanno vissuto in prima persona e portano ancora nel cuore quel dolore e quell'orgoglio" ci racconta Marco. Una storia, quella degli Invincibili, che si tramanda di generazione in generazione. La memoria di una squadra che correva, saltava e vinceva, prima sui campi in terra...poi su quelli in cielo. E un dolore, misto a orgoglio - come ci racconta Marco - di quel giorno di pioggia: una tragedia che ha fatto male più di una ferita profonda ma che ha reso quella squadra immortale. Per sempre.
E poi la bellezza. La bellezza del viaggio, degli incontri casuali. E la bellezza delle storie, come in un racconto di Chaucer: "Lungo la strada ho incontrato diversi ciclisti, italiani e stranieri, e ho potuto raccontare loro che cos'era il Toro, cosa rappresenta Superga e perché questa salita - per noi tifosi - è molto più di una sfida sportiva: è un pellegrinaggio della memoria".
"Il mio viaggio: un gesto sportivo e simbolico che lega la fatica della salita al ricordo e all'orgoglio di una squadra che ha fatto la storia del calcio italiano". Il viaggio di Marco, che - in qualche modo - è un po' il viaggio di tutti i cuori granata.
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