Successe con Bremer. È successo con Buongiorno. E ora con Ricci. Rinnovi come specchietti per le allodole, utili a preservare il valore di mercato, non certo a costruire un senso di appartenenza. Per la tifoseria, invece, ogni volta è un’illusione che si sbriciola. Si parla di progetti, ma si vende ogni inizio. Si promette continuità, ma si taglia alla radice ogni speranza di crescita.
Il problema è che a forza di svendere simboli, si spegne l’identità. Come può un bambino innamorarsi di un giocatore, se ogni estate finisce col vederlo andare via? Che senso ha parlare di attaccamento alla maglia, se le bandiere vengono ammainate al primo bonifico in arrivo? Una volta c’erano i Totti, i Maldini, i Del Piero. Oggi restano solo post di commiato su Instagram e comunicati asciutti. Il calcio è cambiato, certo, ma a Torino sembra esserci la volontà precisa di rinunciare a ogni forma di continuità emotiva.
L’identità perduta del Toro moderno
—Il Toro si presenta sempre più come una società che sopravvive, ma non vive. Una realtà incapace di alzare l’asticella, ancorata a una gestione che punta solo a rimanere a galla, senza mai provare davvero a emergere. Il mercato granata non è mai ispirato, mai coraggioso, non è visionario. È solo un lento e costante smantellamento, stagione dopo stagione. Qui arriviamo al cuore del problema. Perché la cessione di Ricci non è solo un’operazione di mercato: è l’ennesimo segnale che il Torino non ha concrete ambizioni reali. Non c’è un’idea di crescita, non c’è la volontà di consolidare un gruppo competitivo. Si sopravvive, si naviga a vista, si punta all’ennesimo campionato privo di concreti obiettivi, con la serenità cinica di chi ha perso il contatto con la passione vera. La stessa passione che ogni domenica anima i tifosi sugli spalti, e che invece sembra non abitare più in alto, dove si decide.
In questa stagnazione cronica, dove ogni slancio viene smorzato da scelte prevedibili e rinunce sistematiche, il Toro sta perdendo ciò che lo ha sempre distinto: l’identità, la lotta, la grinta. Finché tutto questo sarà accettato come inevitabile, il futuro non potrà che somigliare al presente: grigio, rassegnato, mediocre. Ricci va al Milan, sì. Ma a Torino resta il vuoto. Quello lasciato da chi avrebbe potuto essere molto di più. E invece, come sempre ultimamente, è stato solo di passaggio. Senza ambizione, senza identità e senza bandiere, il Torino resta solo una società che partecipa, senza mai competere davvero.
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