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Torino-Bologna e le trame di regime dietro allo scudetto revocato che Cairo rivuole

Cairo Ugi
Appuntamento con la Storia / Il gerarca fascista e podestà di Bologna Arpinati spinse per aprire il caso Allemandi: una della pagine più brutte del nostro calcio
Lorenzo Bonansea

Torino e Bologna si affronteranno sabato alle 18, in quello che costituisce il primo anticipo della 14° giornata di Serie A. Una sfida aperta a qualsiasi risultato, e che risulta affascinante non solo per lo scontro sul campo di gioco, ma anche per la Storia dei due club, spesso rivali non solo sull’erba verde. E’ il caso, ad esempio, della celebre querelle riguardante lo scudetto del 1926/27, ritornata pesantemente di attualità in questi mesi, con il Toro che sembra intenzionato - stando alle parole del Presidente Urbano Cairo - a volere fare suo quel tricolore ingiustamente portato via.

I meno informati si chiederanno cosa centri in tutto ciò il Bologna, ma la maggior parte conosce molto bene la storia di quello scudetto, ed ha la percezione tangibile - anche se si parla di quasi 90 anni fa - che qualcosa non sia andato proprio per il verso giusto. Ma andiamo con ordine. Il Torino è in testa al campionato, e arriva al derby del 5 giugno 1927 da capolista assoluta, seguito da Bologna e Juventus. La stracittadina finisce 2-1 per i granata, ma nei giorni successivi viene alla luce uno dei più controversi scandali (o presunti tali) del calcio italiano: il cosiddetto “Caso Allemandi”. Il terzino sinistro della Juventus Luigi Allemandi, infatti, - secondo la cronaca dell’epoca - sarebbe stato avvicinato prima del derby dal dottor Nani, dirigente granata, che lo avrebbe corrotto al fine di facilitare il Toro nella vittoria. Durante la stracittadina, tuttavia, il bianconero risultò essere tra i migliori in campo, e dunque Nani si sarebbe rifiutato di pagare il dovuto al giocatore: la discussione che ne risultò fu udita dal giornalista de “Il Tifone” Renato Farminelli, che pubblicò il reportage e diede il “la” allo scandalo.

E il Bologna? La parte interessante arriva adesso: il presidente della FIGC era il gerarca fascista Leandro Arpinati, podestà della città di Bologna. Il Presidente decise - sotto pressione del Duce (che si diceva essere tifoso rossoblù) - di revocare lo scudetto al Torino, ma tra la sorpresa dei più di non assegnarlo al Bologna, come invece il regolamento avrebbe previsto in questi casi. Dimostrazione di superiorità nonostante il dichiarato legame alla città emiliana da parte di Arpinati? Molti analisti sostengono il contrario: Arpinati, infatti, avrebbe gonfiato appositamente lo scandalo, col fine di aiutare il Bologna a conquistare il titolo, ma fu probabilmente fermato dal Duce in persona, e il motivo è storicamente chiaro.  Il ventennio fascista era all’alba, e Mussolini non poteva permettere che il malcontento si diffondesse in quel regime che stava solo allora acquisendo popolarità e forza: pertanto, è molto probabile - se non praticamente certo - che fu il Duce a forzare il podestà di Bologna a prendere la scelta più “populista”, anche se contro il regolamento e contro le trame ordite (e riuscite) dal gerarca fascista.

Quasi un secolo dopo, si continua a parlare di quel presunto scandalo, e di uno scudetto tolto ai granata con l’iniziale volontà da parte dell’allora presidente federale di consegnarlo al Bologna, squadra legata al fascio. Antiche trame di regime, dunque, dietro a questa sliding door tra felsinei e granata, che adesso recriminano indietro quel tricolore. Sabato, ad ogni modo, la querelle si sposterà sul campo, sotto forma di partita, e la Storia tornerà nei libri, ma la sete di verità da parte di tutto il mondo granata non si è ancora spenta.

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