Quando ha lasciato il Toro, Cerci aveva anche la nazionale. Al momento ha perso anche quella. La sua esperienza spagnola per ora si fa ricordare solo per il rosso rimediato in soli 25 minuti in campo in una dei pochi scampoli di partita giocati con l'Atletico, quella squadra del "calcio che conta" (come scrisse la sua dolce metà) che doveva consacrarlo come stella internazionale.
Peccato, peccato davvero, perché un Cerci è proprio quello che manca al Toro di oggi. Se Quagliarella per ora non sta facendo rimpiangere Immobile, il ruolo del fantasista di Valmontone è ancora scoperto. Pensiamo a un mondo parallelo con Alessio ancora in granata: sicuramente l'affetto dei tifosi, per la sua scelta di rimanere, si sarebbe triplicato. Triplicato nei suoi confronti e anche in quelli della fidanzata, che sempre nel mondo parallelo si sarebbe impuntata per rimanere a Torino. E magari la squadra avrebbe qualche punto in più in classifica. Utopie a parte, la triste fuga di Cerci verso il "calcio che conta" (citiamo ancora) è come il b-side della storia di un campione vero, che incroceremo da avversari domenica prossima. Un campione semplice, concreto, che non ha mai amato abbronzarsi con la luce dei riflettori. E' Totò Di Natale, che quattro anni fa disse no all'altra squadra di Torino per rimanere all'Udinese. "Sono diventato una bandiera, la mia testa e i miei figli stanno bene a Udine. Se avessi voluto i soldi, me ne sarei andato via prima", rispose a chi gli chiedeva di spiegare il suo rifiuto. Se Cerci avesse fatto come lui, la Torino granata avrebbe avuto un altro re.
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