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Il Foggia è passato da Zeman a Enrico Catuzzi, discepolo della zona e noto per aver allenato il “Bari dei baresi” che sfiorò la promozione nei primi anni ottanta. La leggenda vuole che durante i mondiali 1982 ad Antonio Matarrese, ai tempi presidente della Lega, dopo il pareggio tra Italia e Perù venne chiesto se Catuzzi avrebbe fatto come Bearzot mandando in campo Causio, e non una punta, al posto del sostituito Paolo Rossi. “Non offendiamo Catuzzi” fu la risposta, probabilmente non ripetuta qualche settimana più tardi quando Zoff alzò la Coppa del Mondo. Al di là di quest’episodio che lo vide involontario protagonista, Catuzzi non fa rimpiangere Zeman nell’avvio di stagione visto che i satanelli sono l’unica squadra a non aver perso una partita tra amichevoli, campionato e Coppa Italia. In serie A i punti sono cinque frutto di due pareggi in rimonta a Roma, il giorno del primo gol di Totti, e contro la Samp sul neutro di Bologna e di un netto 3-1 al Brescia con gara ipotecata già nel primo tempo. Comprensibile l’entusiasmo dello “Zaccheria” che non sa ancora che assisterà all’alba in granata di Rizzi-gol, nato a Margherita di Savoia, a un’ottantina di chilometri di distanza. Il Torino scende in campo con la non entusiasmante divisa bianca con inserti gialli e granata schierando Pastine, Angloma, Sogliano, Falcone, Torrisi, Maltagliati, Rizzitelli, Scienza, Silenzi, Abedi Pelè e Pessotto. Il numero sette sarà quello che Ruggiero porterà sulle spalle per quasi tutta la stagione e l’anno successivo, col passaggio ai numeri fissi, si aggiudicherà nell’asta benefica fra giocatori proprio quella maglia, sapendo quanta importanza ha ricoperto nella storia granata (Meroni, Claudio Sala, Menti giusto per nominare qualche predecessore illustre). Si parte col settore ospiti granata che fa comparire uno striscione geniale che riassume le ultime folli giornate: “Nedo, un consiglio: non vincere mai”. Il Foggia parte rapido sulle ali dell’entusiasmo, ma il Toro ci metta la grinta che era mancata in precedenti occasioni. Pastine, forse motivato dal fatto che Vieri, che tanto crede in lui, sia in panchina, si scuote dalle incertezze di inizio stagione facendosi sentire con la voce e con le parate (bravo su Marazzina, allora “solo” un giovane di belle speranze, e su Bresciani in uscita), Abedi Pelè gioca una partita di insospettabile sacrificio su Di Biagio, Falcone vuole dimostrare che un certo modo di intendere il granata non è morto, Pessotto giostra ovunque. Il Toro sfiora la rete con due colpi di testa di poco a lato di Silenzi e Maltagliati.
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Il primo tempo si chiude 0-0, ma la ripresa inizia in modo tempestoso visto che il fiscale Rosica espelle Sogliano per doppia ammonizione. Vieri è costretto a sostituire Pelè, zoppicante, per inserire Caricola e al 62’ un bolide dalla distanza di Caini sembra quello buono per far capitolare Pastine, ma la palla centra il montante. Neanche il tempo di spaventarsi che il Toro sblocca la situazione in contropiede: splendido lancio di Angloma per il numero sette che controlla con il tacco nel cuore della frastornata difesa avversaria e realizza di destro nonostante il tentativo di opposizione del compianto Franco Mancini. La rete del raddoppio al 72’ è ancora più bella: scatto di trenta metri palla al piede tallonato invano da due avversari e tocco di destro da posizione angolata a scavalcare il portiere. Poco dopo potrebbe esserci anche la tripletta: palleggio in area, pallonetto sull’uscita di Mancini e clamorosa rovesciata di Di Bari sulla linea a evitare una marcatura d’antologia. Chiudono la partita un salvataggio di Scienza su colpo di testa di Bianchini e una traversa di Silenzi in contropiede. Lido Vieri, che affermerà di aver urlato come un pazzo alla prima panchina dopo quattordici anni di assenza, Sonetti e il mondo granata possono esultare per il colpaccio. Negli spogliatoi la domanda più gettonata è come sia stata possibile questa metamorfosi soprattutto dal punto di vista dell’aggressività, ma tranne un candido Pessotto (“La grinta? Sempre esistita. L’unica differenza rispetto alle altre volte è che qui l’abbiamo avuta tutti e undici”) le risposte sono tutte evasive. Tutte, tranne quella di Rizzitelli che a muso duro dice di togliersi dalla testa che Rampanti sia stato esonerato a causa sua, citando il fatto che solo pochi giorni prima era stato schierato e con la fascia da capitano al braccio. Sulla Stampa Claudio Giacchino scrive che, secondo qualche spiffero, c’era stato sì uno scontro duro col precedente mister, ma poi ricomposto, alludendo velatamente al fatto che si dovesse cercare altrove i “congiurati”. Comunque sia andata questa storia dolce-amara, il Toro (senza Fila, senza tanti giocatori delle giovanili, con sempre meno figure storiche al suo interno) entra nell’ennesimo anno zero della sua storia. Non sa ancora quanto buio dovrà attraversare e quanto amaro trangugiare. Le reti di Rizzitelli, soprattutto quelle alla Juventus, avranno il merito di farci stare bene ancora per un po’.
Classe 1979, tifoso del Toro dal 1985 grazie a Junior (0 meglio, a una sua figurina). Il primo ricordo un gol di Pusceddu a San Siro, la prima incazzatura l'eliminazione col Tirol, nutro un culto laico per Policano, Lentini e...Marinelli. A volte penso alla traversa di Sordo e capisco che non mi è ancora passata.
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