Ormezzano era “uno di noi” inteso come noi granata (il che non gli ha impedito di mantenere sempre una credibilità cristallina). Ha preso per mano molti tifosi affamati di notizie del passato quando internet non c’era, come ricordato su X da Andrea Dalmasso. Ha raccontato le nostre gesta così bene che ogni immagine della storia del Toro potrebbe avere una sua didascalia perfetta (Diego Fornero utilizzerà parecchie sue citazioni per aprire molte puntate il suo magistrale podcast “Invincibili”). Ha reagito esattamente come avremmo fatto noi se, da ragazzi, ci fossimo trovati Valentino Mazzola al nostro fianco in un cinema cittadino. Ha corso la Maratona di New York con la maglia granata addosso e aveva promesso, su un articolo apparso su Fegato Granata nell’annata 1995/96, che non ne avrebbe più parlato se ci fossimo salvati: non accadde, ma non so se avrebbe mantenuto la promessa. Come fai a non amarlo.
Relativamente al lato più viscerale del suo granatismo in questi giorni mi sono venuti in mente col sorriso due suoi ricordi televisivi. Del primo ne ebbi testimonianza diretta guardando una puntata di Mai dire Gol della Domenica. Gian Paolo era ospite della trasmissione “A giochi fatti” condotta da Enrico Ameri e, a fianco di Enzo Bearzot, stava seguendo i finali delle partite. In quel momento il Toro segna a Parma con Mussi la rete del provvisorio 2-1 al termine di un’azione concitata dove Sottil per due volte calcia a rete da distanza ravvicinata prima del tocco risolutore dell’ex milanista. GpO, rapito dalle immagini, alza e abbassa le braccia due volte prima di lasciarsi andare in una breve esultanza stringendo i pugni. Bearzot, al suo fianco, sogghigna: “Qui si esulta”. Il Toro beccherà il definitivo 2-2 di lì a qualche istante, ma quell’attivo di gioia genuina fu stupendo e cosa ancora più bella è il fatto che si trovassero uno accanto all’altro due cuori Toro che il giorno dello scudetto del 1976 si incrociarono a partita finita. “Beato tu che puoi piangere, io non posso. Sono il ct della Nazionale” gli disse Bearzot. Che, ovviamente, stava piangendo.
Il secondo episodio me l’hanno raccontato perché ero allo stadio. Durante il derby del 3-3 Ormezzano seguiva la partita per “Quelli che il calcio” e al suo fianco c’era Valeria Marini in veste di tifosa bianconera. GpO regalò una battuta fulminante (“Credo di essere l’unico italiano a non voler essere vicino alla Marini in questo momento”) per poi impazzire di gioia al pareggio di Maspero pensando alla gioia che suo figlio stava provando in curva.
Ho riascoltato la chiacchierata che Gian Paolo ha fatto con Gianfelice Facchetti nella prima puntata del podcast “Il Grande Torino - Una cartolina da un paese diverso”. Gianfelice è splendido nel rinunciare a seguire un canovaccio per lasciare campo libero a GpO e al fiume di aneddoti, conoscenza, intelligenza e simpatia che ci travolge amabilmente. In questo gioioso flusso di esperienze a un certo punto una frase: “Il Toro per me non è una squadra di calcio, ma è mio padre. E così l’ho tramandato a mio figlio che l’ha tramandato a suo figlio”. Aggiungere qualcosa sarebbe superfluo.
Ha visto il Grande Torino dal vivo e venticinque Olimpiadi tra estive e invernali. Ha nuotato con Carlo Pedersoli prima che diventasse Bud Spencer e ha portato in macchina Livio Berruti fresco di oro olimpico, venendo anche fermato dai vigili. Ha testimoniato la morte di Coppi e lo sbarco sulla Luna, a suo modo record di salto in alto. Non ha creduto a Gianni Minà la sera della famosa di cena da Checco er Carrettiere con Garcia Marquez, Sergio Leone, Robert De Niro e Muhammad Alì (“stasera ho un impegno col papa”) e ha avuto il coraggio di contraddire proprio Ali sul colore della pelle del primo re di Roma. Che fantastica storia è stata la vita di GpO. Chissà come sarà dall’altra parte se ce lo potesse raccontare. Due risate con Valentino rievocando l’episodio del cinema sicuramente le avrà già fatte. Grazie di tutto, Gian Paolo. Nessuno ti potrà dimenticare.
Mi permetto di mandare le più affettuose e sentite condoglianze alla famiglia di Gian Paolo. In questi giorni per loro tristi spero che tutte le manifestazioni di affetto ricevute abbiano reso più sopportabile un dolore per il quale, come ha scritto giustamente il figlio Timothy su Facebook, non si è mai pronti.
Classe 1979, tifoso del Toro dal 1985 grazie a Junior (0 meglio, a una sua figurina). Il primo ricordo un gol di Pusceddu a San Siro, la prima incazzatura l'eliminazione col Tirol, nutro un culto laico per Policano, Lentini e...Marinelli. A volte penso alla traversa di Sordo e capisco che non mi è ancora passata.
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