Il Pulici del 1972/73, dopo anni di pura irruenza, ma con meno gol di quanto atteso, dopo un passaggio con la Primavera di un paio di mesi a ripassare i fondamentali, è pronto per sbranare il mondo, per riversare sul campo la sua onnipotenza e vincere il primo dei suoi tre titoli di capocannoniere e lo fa vedere da subito. Ha già segnato tre gol in quattro partite e la gara contro la Juventus è l’ideale per far vedere chi è diventato ora, ovvero quello di cui avranno paura per anni.
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Il Toro è privo di Sala, sostituito da Crivelli che seguirà ovunque Haller. La Juve si mangia subito un gol con Bettega sugli sviluppi di un angolo e al 7’ il Toro punisce: Fossati scende sulla sinistra e centra basso per Bui che prova la sponda per Pulici. Paolino sembra in controtempo, anzi lo è. Però quella palla lo chiama e allora torna indietro, se la sistema col sinistro, la porta leggermente avanti col destro e infine, col mancino, trova l’angolino basso con Zoff che non può arrivarci. 1-0, sotto la Maratona. Il resto del primo tempo è pieno di botte, Morini e Marchetti vengono graziati dall’arbitro, il primo per un pugno sullo scatenato Rampanti, il secondo per un fallo di reazione su Ferrini. La difesa granata regge bene, guidata da uno Zecchini autoritario. Si va negli spogliatoi sopra di uno.
Nel secondo tempo la Vecchia Signora prova a reagire. Capello invoca un rigore, Haller sfiora il palo di testa, Castellini vola sicuro su tiro di Causio. Poi arriva il minuto 63. Pulici parte. La sua curva, con cui ha un rapporto simbiotico, è alle spalle. Ha sempre detto che era la Maratona a dargli l’idea della vicinanza della porta, come se a seconda del ruggito del cuore del tifo granata potesse capire cosa potesse o non potesse fare. Chissà cos’ha sentito quando è partito a velocità tripla rispetto agli altri giocatori in campo e si è inoltrato nella metà campo avversaria. Forse ha sentito che avrebbe potuto chiudere quella corsa in un solo modo: segnando. Bisogna decidere come. E qui il come fa la differenza.
La testa, fino a quel momento bassa, si alza. Due bianconeri stanno provando a rinvenire su di lui, uno da dietro, l’altro da destra, ma Pulici guarda il portiere, non uno qualunque, Zoff, il più forte di sempre in Italia, forse. E’ fuori dai pali e allora il pensiero è fulmineo, o forse non è un pensiero, solo istinto. O forse è un superpotere. Qualunque cosa sia, sì, è ora di fare il pallonetto. Solo che non è un pallonetto morbido, non è un cucchiaio che sale e scende beffardo. E’ un pallonetto, ma al tempo stesso è forte, perché scagliato in corsa. Va su veloce e scende dolcemente. Per gonfiare la rete. Per entrare nella storia. Un gesto di culto.
Al 77’ Anastasi, al volo su cross di Haller da destra, punisce l’unico vero errore della difesa granata e accorcia le distanze, ma è tutto quello che la Juventus può fare. Quello è il derby del pallonetto di Pulici e se finisse 2-2 non sarebbe la stessa cosa. Forse per lo stesso motivo Pupi, con un altro affondo irresistibile, si fa chiudere in uscita da Zoff. Sarebbe stato ricordato come il derby della tripletta di Pulici e no, la storia, il destino, sotto forma di due tacchetti che saltano e lo fanno scivolare leggermente al momento del dunque, lo hanno impedito. Tanto Pupi il pallone se l’è preso lo stesso e l’ha portato alla sua bambina.
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C’è una foto scattata immediatamente dopo il raddoppio. Zoff è in ginocchio. La sua espressione imperturbabile, per una volta, ha un lampo di incredulità per quello che è appena successo. Anche al più forte può capitare di prendere un gol così, se il tiro lo scaglia un demonio. E quel demonio sta passando dietro al portiere, nulla di beffardo, le braccia alzate, pensa solo a correre e a urlare di felicità per il suo quinto gol in cinque partite, per un gol immortale, per la sua personale “Wish you were here”. E’ così che festeggia quando si è appena fatto il pallonetto di Pulici. E io vorrei essere nato quindici anni dopo per la possibilità di vivere quel momento dal vivo.
Classe 1979, tifoso del Toro dal 1985 grazie a Junior (o meglio, a una sua figurina). Il primo ricordo un gol di Pusceddu a San Siro, la prima incazzatura l’eliminazione col Tirol, nutro un culto laico per Policano, Lentinie…Marinelli. A volte penso alla traversa di Sordo e capisco che non mi è ancora passata.
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