Al 15’ Somogij sorprende Lorieri con un maligno tiro dal limite cercando di dare un senso alla serata dei padroni di casa, ma 4’ dopo Comi rimette a posto le cose: lanciato sul filo del fuorigioco, evita il portiere in uscita e chiude definitivamente i conti. Al 25’ il momento che cambia una stagione: in uno scontro con Turbek, Kieft si fa male al ginocchio e deve lasciare il campo. E’ la prima volta in carriera che deve uscire anzitempo, è la prima volta che ha un infortunio così grave. Ha aspettato di essere l’uomo più in forma del Toro perché succedesse. All’inizio sembra cosa di una ventina di giorni, ma dopo i primi esami il responso è più tetro: lacerazione al legamento, fuori oltre due mesi. Il Toro, di fatto, non ha più un centravanti. “Deve star scritto da qualche parte, nel gran libro, che il Torino sia destinato a soffrire anche nei momenti felici della gloria sportiva” scrive Carlo Coscia sulla Stampa. E’ una frase che fa incazzare, perché sembra una condanna a non essere mai felici, a rassegnarsi che la sfortuna è “da Toro”. E’ una frase che, spesso, ci auto-condiziona. Ma in questo caso è una frase perfetta. E’ una frase dannatamente vera.
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Due trasferte, due sconfitte. Se quella a Milano contro l’Inter tutto sommato si può inghiottire, quella a Brescia fa malissimo. Ancora una volta, però, il profumo d’Europa è magico e il Toro torna più Toro che mai, Kieft o non Kieft, assetto a una o due punte che sia. Negli ottavi tocca agli organizzati belgi del Beveren, che hanno eliminato l’Athletic Bilbao. Dopo un primo tempo di studio, il Toro carica e segna subito in avvio di ripresa: pressing altissimo sulla tre quarti avversaria, palla recuperata, Cravero lancia Dossena che viene steso in area. Rigore che Comi trasforma di rabbia sotto una Maratona bollente. Al 58’ il raddoppio: angolo di Junior sul primo palo, Beruatto prolunga e Ezio Rossi insacca di testa. Giochiamo benissimo e andiamo a caccia del terzo: un pallone di Dossena esce di un soffio senza che Comi riesca a correggerlo, su centro di Junior Cravero in acrobazia colpisce “troppo bene” e si fa parare la conclusione, Rossi sfiora la clamorosa doppietta con un tocco a colpo sicuro su invito dell’immenso “Dos”, ma De Wilde sfodera un miracolo tutto istinto.
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La coppa Uefa è un incantesimo che ci fa tornare Toro vero, ma se il periodo è poco fortunato, qualcosa si paga qui e così, a pochi minuti dalla fine, Fairclough si ritrova un buon pallone e, con una conclusione rasoterra beffarda, riapre il discorso qualificazione che si stava per chiudere. Un gol che fa male. Lo dice Beruatto nel dopo partita (“siam stati nei pollastroni”), lo dice anche Dossena in un’intervista a caldo con il recentemente scomparso Beppe Barletti impensabile oggi, visto che il numero dieci risponde mentre si sta abbottonando la camicia nello spogliatoio. “La nostra è una squadra a cui non viene concesso nulla” recrimina su come si venga sempre castigati al minimo errore. Però dice anche che al ritorno ci saranno più spazi e che i belgi patiscono la nostra velocità: forse dentro di sé sente cosa combinerà di lì a due settimane.
Quella in terra belga è la prima partita che disputiamo dopo aver compiuto ottant’anni. E’ anche la prima partita del Toro che vedo su una tv a colori, a casa di mia nonna. Ho scelto bene, perché Radice, lungi da speculare sul golletto di vantaggio, in quel tardo pomeriggio schiera un Toro che se la gioca come se fosse in casa, con un centrocampo in serata pazzesca. Nel primo tempo Francini colpisce la traversa di testa, poco dopo Junior, servito da Cravero, dopo una rapida trama di passaggi, si libera al tiro in area e calcia a colpo sicuro, ma De Wilde usa l’istinto come all’andata su Rossi ed è solo corner. Nella ripresa scende la nebbia, ma il granata si vede benissimo soprattutto al 75’, quando Dossena scatta in contropiede su lancio di Comi e, con un rasoterra di destro sull’uscita di De Wilde, ci regala i quarti. Il finale è ancora tutto dell’EuroToro. Dossena è qualcosa di difficilmente descrivibile a parole, parte in strepitosa azione personale e il suo tiro è deviato sul palo. Poco dopo parte in contropiede con Junior, ma pecca di egoismo e De Wilde salva di piede. Lo stesso Junior, complice la nebbia, non riesce a inquadrare la porta con De Wilde uscito sulla tre quarti. Ancora una volta les plus fort sont le rouge. Lorieri che solleva Dossena al fischio finale è la cartolina di un’impresa.
La coppa Uefa va in letargo, torna a marzo e trova un Toro in difficoltà. Kieft è tornato, ma le scorie dell’infortunio sono tutte da smaltire. Emerge qualche problemino con Junior e Dossena. Nelle ultime tre gare ufficiali non è arrivato lo straccio di un gol, ma solo sconfitte. Col Napoli in casa, quando sembrava fatta per un pareggio. Col Cagliari di Giagnoni in Coppa Italia, nell’andata degli ottavi: un1-0 che fa doppiamente male, visto che i sardi giocano in B. A Empoli arriva quella più dolorosa per 2-0: si narra di confronti accesi nel dopo partita. A pagare sarà Lorieri, che verrà sostituito fra i pali da Copparoni. Ci sarebbero modi migliori per avvicinarsi ai quarti di finale contro gli austriaci del Tirol Innsbruck di Hansi Muller. Speriamo ancora nell’incantesimo europeo.
L’andata è al Comunale, Sergio Rossi torna allo stadio e lo fa addirittura in Maratona, sembra aver cambiato idea sul cedere la squadra. La magia c’è, ma stavolta, a essere precisi, ci sono due magie a confrontarsi, quasi a ribadire la fama di Torino città magica. C’è la magia bianca che fa ritrovare al Toro la prestazione, ma c’è la magia nera che rende una delle partite più a senso unico della storia granata (23 tiri a 4), anche una delle più sfortunate. Ivkovic sfodera un miracolo dietro l’altro dicendo no a Dossena, Comi e Francini quando tutti erano già pronti a esultare. La svolta sembra arrivare a inizio ripresa, quando Bonnet indica il dischetto del rigore per un intervento su Cravero. Comi batte bene, la angola, anche uno come Ivkovic, che parerà due rigori a Maradona, è vanamente proteso in tuffo, ma ci pensa l’interno del palo a beffarci ancora. Poco dopo è Dossena a colpire la traversa con un gran tiro, un monito per il futuro su quanto possano esserci nemici i legni in Europa. Finisce 0-0, ma, considerate le trasferte europee giocate dagli uomini di Radice, c’è sì amarezza, ma non pessimismo.
In campionato si continua a non segnare, ma la concentrazione è tutta su Innsbruck. Il clima non è dei migliori con il futuro di Dossena che tiene banco, ma una semifinale Uefa può cambiare tutto. Il Toro sembra più ingolfato del solito, soffre la spinta del Tirol, qualcosa crea, ma nell’aria c’è qualcosa di strano che ti fa presagire la coltellata da un momento all’altro e nel modo più doloroso. Al 61’, infatti, arriva: il calcio d’angolo di Hansi Muller da destra finisce direttamente in porta, complice un colpo di vento, ingannando Copparoni.
A questo punto entra in gioco il Male. E’ vestito di nero, ha un fischietto in bocca, è svedese: si chiama Erik Fredriksson. Nefandezze arbitrali ne abbiamo subite, ma lui resta il Male. Se la sua pagina Wikipedia menziona con precisione cos’ha combinato in quel Tirol-Torino oltre al rigore non dato per mani di Maradona in Argentina-Urss a Italia ‘90, qualcosa vuol dire. Se al termine della partita ho preso un foglio e ho scritto il più lungo elenco di insulti a uno sconosciuto che un bambino di otto anni potesse immaginare, qualcosa vuol dire.
C’è un pallone vagante sotto porta. Kieft fallisce clamorosamente la deviazione, ma sulla sfera arriva Beruatto che controlla e prova a evitare Ivkovic che lo trancia. Rigore per tutti, tranne che per chi dovrebbe fischiarlo. Poco dopo Giacomo Ferri entra duro su Roscher: espulso per doppia ammonizione.
In dieci il Toro attacca, sfiora il gol con Kieft, ma subisce il raddoppio al 79’ con un colpo di testa nel “sette” di Pacult. Sotto di un uomo, sotto di due, a dieci minuti dalla fine siamo con le spalle al muro e, in genere, con le spalle al muro diamo tutto. All’86’, su cross di Junior, Francini è solo davanti a Ivkovic e colpisce di testa. La palla viene solo toccata dal piede del portiere slavo e finalmente entra. Un gol e passiamo e il gol sembra arrivare quando Kieft, di testa, mette ancora il meraviglioso Francini solo davanti al portiere: mentre il terzino calcia viene vistosamente strattonato per la maglia da un difensore disperato e il tiro viene, così, respinto da Ivkovic. Nessuna regola del vantaggio, altro rigore solare, austriaci già con le mani nei capelli, ma nulla. Il capannello di granata che attornia Fredriksson per mangiarselo vivo è ancora stampato in testa. Stavolta è finita davvero. Ladri.
I due mancati fischi cambiano la storia. La semifinale avrebbe cambiato la storia. Sergio Rossi non avrebbe venduto, anzi, svenduto il Torino. In molti sarebbero rimasti. La retrocessione del 1989 non ci sarebbe mai stata e nemmeno tanti guai societari arrivati dopo. Invece il Toro crolla, viene eliminato in coppa dal Cagliari facendo esplodere la contestazione. Le uniche gioie in campionato saranno il pareggio in extremis nel derby (gol di Cravero) e il 3-1 all’Udinese con Kieft che, dopo una serie impressionante di errori e di pali nei match precedenti, ritorna quello pre-infortunio con una tripletta. Salutano Francini, Junior, Dossena (all’Udinese in B!), Zaccarelli che lascia il calcio, Kieft che va a vincere Coppa Campioni ed Europeo, Beruatto. Arriva un Toro nuovo, che sarà anche gagliardo e, ovviamente, sfortunato, ma rimarrà sempre l’amaro sapore del rimpianto per una squadra che avrebbe potuto davvero vincere qualcosa. Però resta anche l’orgoglio di una squadra che ha fatto vedere all’Europa cosa fosse il Toro e che, alla domanda su “qui sono le plus fort”, ha risposto nell’unico modo possibile. Les Rouge.
Ps un grazie al canale YouTube JaboAltalena che anni fa ha raccolto i filmati di quello splendido EuroToro. Avevo quelle partite nel cuore da quando ero bambino, rivederle è stato magnifico.
Classe 1979, tifoso del Toro dal 1985 grazie a Junior (o meglio, a una sua figurina). Il primo ricordo un gol di Pusceddu a San Siro, la prima incazzatura l'eliminazione col Tirol, nutro un culto laico per Policano, Lentinie...Marinelli. A volte penso alla traversa di Sordo e capisco che non mi è ancora passata.
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