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“Te piace o presepe? E allora fatte a croce”
Eduardo De Filippo
Il giornalista che non da fastidio, non è un giornalista, è semplicemente uno alla ricerca di una vita comoda attraverso due cose che bene o male sa fare, ovvero scrivere e avere delle buone fonti che alla fine della giornata possano dare quel tanto di suggestione da scrivere almeno una cartella/una cartella e mezza. Un giornalista ossessionato dalla ricerca del consenso del lettore e non farsi stimolare da un suo eventuale dissenso, dovrebbe solo cambiare mestiere, e magari dedicarsi a qualcosa dove si vende. Un giornalista non deve aver paura neanche di avere torto, perché solo uno sciocco ha l’obbligo di avere ragione. Un giornalista deve anche mettere in conto che se fa bene il suo lavoro, quel lavoro tanto amato, e per cui si è tanto sacrificato, potrebbe anche perderlo e non ritrovarne uno mai più. Si cammina sui carboni ardenti della società dello spettacolo e dell’immagine, sapendo quanto la serenità sia il frutto della rassegnazione. Il giornalista non deve credere alla verità, ha il compito solo di cercarla e mostrarla. E’ per questo che viene pagato. Un giornalista che si occupa di sport cammina su un sentiero ancora più impervio rispetto a chi si occupa di politica o di cronaca, perché è di idoli spesso ritenuti intoccabili che gli tocca parlare. Nella società dello spettacolo è davvero rischioso e difficile trattare degli idoli, essi da tempo hanno assunto il contorno del divino, andando a sostituire la religione con i suoi totem invisibili agli occhi e al tatto. Invece lo sportivo lo puoi vedere, gli puoi chiedere un autografo, puoi persino fare un selfie con lui. E’ una divinità pagana, anzi di più: è un contenitore sacro e laico nello stesso tempo. “Il futuro del mondo appartiene alla Coca Cola e alla pornografia”, profetizzò in suo celebre aforisma lo scrittore e filosofo Nicolas Gomez Davila, passato a miglior vita poco prima della rivoluzione digitale, causa dell’abbattimento di ogni pudore e di affermazione di ogni dissacrazione.
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Lo sport, avendo resistito alla polverizzazione del sacro, ha usato il digitale per ottenere santificazione da marketing per i suoi protagonisti. “A causa della stupidità della maggioranza degli uomini, è molto più probabile che il giudizio diffuso sia sciocco piuttosto che ragionevole”, scrive Bertrand Russel, forse con uno spirito eccessivamente pessimista, ma con richiami a qualche fondamento di verità. Ed è in nome della ragione e del mio essere chiamato a scrivere, che mi viene da dire una cosa in modo molto chiaro e duro: chi ha pagato cinquanta euro per vedersi cinque amichevoli del Napoli in preparazione precampionato, ha problemi seri di approccio con la realtà. Chi si è approfittato di questo stato catatonico da tifo esasperato e patologico, è colpevole di circonvenzione di incapace. E’ stato un vero scandalo chiedere soldi per vedere giocatori imballati fisicamente, incapaci di fare qualsiasi scatto decente, con giocate più da ricreazione da spiaggia che da partita di calcio. Viene da chiedersi quale felicità o soddisfazione c’è nel pagare uno spettacolo del genere, e quale tipo di valore stiamo dando non solo al denaro, ma al vivere con qualità il nostro tempo libero. Ha ragione Gomez Davila, siamo arrivati a quel futuro da lui preconizzato in cui viviamo le nostre passioni con un allure pornografico dai tratti imbarazzanti. Gli ormoni da tifo debordano, e come fossimo in un postribolo di lusso tiriamo fuori qualsiasi somma richiesta per appagare al più presto i nostri sensi. L’eccitazione non ammette rinvii o ritardi. E’ turpiloquio dei sentimenti, eppure facciamo fatica a rendercene conto; quindi tutto poggia sul triste adagio popolare che uno con i suoi soldi può fare quel che vuole. In tale anarchia plumbea, si muovono famelici i club più disinvolti e spregiudicati, consapevoli come tanto nessuno li fermerà: vogliono i soldi dei tifosi, ne vogliono il più possibile, e se li prenderanno. Sanno fin troppo bene quanto il calcio non sia figlio né del bisogno e tantomeno di una necessità, ma esso semplicemente scaturisce ogni volta da uno stato d’animo non passibile di nessun tipo di cambiamento. Si è davanti ad un amore che non appassisce con il tempo e non scolora gli entusiasmi, foriero di molteplici atti irrazionali, come quello di pagare i cinquanta euro richiesti dal Napoli per vedere unicamente delle simulazioni di partite. Napoli può essere nello stesso tempo autentica e psicotica, come quando si convince di essere psicologicamente una ricostituzione di un regno neo Borbonico, ed eleva a discendente diretto di “Franceschiello”, e quindi asceso al trono rimasto vacante dal 1861, Aurelio De Laurentiis. Colui che fu un importante produttore cinematografico(oggi lo è un po’ meno, basta leggere il bilancio della “Filmauro” per capirlo), da tempo ha deciso di interpretare il ruolo di “Re” di un club di un città che oggi si vede Nazione e territorio sovrano. Napoli è un confine e un perimetro, nel quale il “Re” può emettere anche una tassazione; ecco come si arrivano a concepire i 50 euro di cui sopra. E se il “Re” non prova nessuna vergogna a tassare in eccesso i suoi cittadini, questi ultimi accettano la sodomizzazione finanziaria in cagione del fatto che il “Re” ha reso regno e bandiera sempre più potenti.
“O Presidente”, in ragione di aver portato due Scudetti all’ombra del Vesuvio, non ha licenza di uccidere ma di lasciarti in mutande sì. Si dirà come si sia liberi di rifiutare queste offerte da usuraio dell’amore, che il libero mercato ha dalla sua il Diritto Costituzionale, che vogliamo vedere il male dove invece c’è solo uno scambio tra produttore e fruitore, che siamo comunisti e forse anche un po’ fascisti, che siamo rimasti ancorati al passato, mentre il calcio ha bisogno di proiettarsi in quel futuro dove il gioco sarà la scusa per venderti qualsiasi cosa. Si dirà questo e altro, tutto per continuare a giustificare la resa senza condizioni del tempio di fronte alle esigenze dei mercanti. In una città composta dal 48% dei contribuenti con dichiarazioni fiscali da meno di 15.000 euro annui e con un tasso di disoccupazione del 31,39%, il Dazn/Sky Football Club vende desideri artefatti ad un prezzo da sottrazione del calcio alle classi popolari, facendolo diventare un circolo per chi se lo può permettere o per coloro capaci di togliersi delle necessità primarie per vedersi l’inutile Arezzo Napoli. Una cosa deve essere chiara: questo non è capitalismo e nemmeno libero mercato, questo è arraffare impunemente in mancanza di una politica seria di protezione dei beni comuni e della sanità mentale pubblica. L’amore fatto diventare vizio e nazionalismo di risulta, viene rivenduto dalla stampa campana come passione di una città. Non hanno senso della decenza, e questa è un’altra cosa ad essere molto chiara. In questo contesto da postribolo e da mercimonio, c’è chi guadagna molto e si costruisce carriere professionali molto protette dallo showbiz. Non esercitano più il mestiere della stampa, sono ammennicoli di uno show che ha lo scopo esclusivo non di mettere in scena un gioco ma una “Fiera dell’Est” dove ogni “Gatto e la Volpe” sono liberi di imbonire i “Pinocchi” di turno. Si fa torto al genio di Eduardo De Filippo, che davanti a questo modo di gestire un club calcistico avrebbe ripetuto una dei suoi celebri aforismi: “se una idea non ha significato e utilità sociale non mi interessa lavorarci sopra”. Eduardo ci direbbe che siamo fantasmi, contraddittori in questa nostra passione per il calcio, psichedelica nel renderci smemorati e memori nello stesso tempo. Questo tempo ci impedisce di riconoscere il falso, e succede perché probabilmente riconoscendolo poi dovremmo prendere posizione in mondo concreto.
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Rimaniamo generosi nell’amare una squadra, ma vili nel difenderne la storia e la memoria. I tifosi teoricamente sono nostri fratelli e nostre sorelle, ma ormai non importa più se non tutti possono godere della “famiglia”. I 50 euro pretesi da De Laurentiis, il nuovo “Re” di Napoli, sono solo l’ultima serie di indecenze abbattutesi sul calcio italiano. Immerso nel malaffare esistenziale di cui parlava Edoardo nella sua splendida “Napoli Milionaria”, il nostro sport più amato è caduto nelle mani di chi lo vuole come un banale registratore di cassa di soldi e di interessi. “Addà passa’ a nuttata”, scrive Eduardo riprendendo con più umanità il concetto eracliteo del “Panta Rei”; nell’attesa sarà bene che il giornalismo faccia il suo mestiere, e lo faccia con la massima attenzione. La stampa è l’unica speranza, nonché unico baluardo rimasto, affinché il tempio non diventi un grande centro commerciale, con gli antichi dei ridotti a essere mesta rappresentazione di un grottesco “Teatro dei Pupi”.
Scrittore, sceneggiatore e regista. Tifosissimo granata e già coautore con il compianto Anthony Weatherill della rubrica “Loquor” su Toro News che in suo onore e ricordo continua a curare. Annovera, tra le sue numerose opere e sceneggiature, quella del film “Ora e per sempre”, in memoria del Grande Torino.
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