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Il granata della porta accanto

Baroni e il Gattopardo Cairo

Baroni e il Gattopardo Cairo - immagine 1
Dopo i "rivoluzionari" Juric e Vanoli, il presidente aveva bisogno di un allenatore più "tranquillo" e aziendalista
Alessandro Costantino
Alessandro Costantino Columnist 

A chi di voi è capitato di vedere il video integrale della conferenza stampa di presentazione di mister Baroni non saranno sfuggite sicuramente due cose lampanti: il comportamento "agitato" di Cairo e il bassissimo profilo del neo mister granata. Su Cairo non mi dilungo anche perché a dire quello che si pensa realmente guardando quel video si rischia la querela: una persona nel pieno delle proprie facoltà mentali e psichiche normalmente non si comporta in quel modo. E qui mi fermo. Mi interessa di più invece scoprire la figura di Baroni, un mister che ad oggi, a un mese dall'inizio della stagione, ancora fatico a comprendere. Premetto che è profondamente sbagliato valutare un mister solo dal suo curriculum: nel calcio conta quello che si fa domani non quello che si è fatto fino a ieri. Baroni non è un ragazzino, ha 61 anni, arriva da una lunga e sudata gavetta culminata con l'esperienza alla Lazio che può essere valutata in una doppia chiave: ha fallito perché non ha centrato l'Europa o ha fatto bene perché ha tenuto in ballo sino all'ultima giornata la squadra biancoceleste che non era più forte di quelle che le sono arrivate davanti.

Il fatto di essere approdato al Torino dopo l'esperienza nella capitale probabilmente rende l'idea del reale valore di questo allenatore che non è da top club, ma che può dire la sua in realtà medie/medio alte. In generale, poi, il lavoro di un mister va anche parametrato al valore della squadra che gli si mette in mano: se ottiene risultati superiori o in linea con tale valore allora si potrà dire che ha fatto bene, se al contrario si piazza sotto tale livello allora si potrà eccepire che qualcosa non ha funzionato nel suo modo di gestire la squadra. In questo senso, ad esempio, l'esordiente Vanoli con il Toro dell'anno scorso ha fatto un buonissimo lavoro perché la squadra era stata indebolita rispetto all'anno precedente e solo grazie ai rinforzi del mercato di gennaio ha potuto portare la barca in acque tranquille, mettendoci del suo sempre al netto di errori suoi che nessuno vuole negare. Tornando a Baroni devo dire che mi sono piaciute le sue parole in conferenza stampa: in maniera pacata, ma mascheratamente passionale, ha sottolineato che la sua squadra dovrà avere una mentalità "da Toro" per trascinare dalla propria parte i tifosi.


Assolutamente non sprovveduto, il mister ha perfettamente capito che l'ambiente è avvelenato dal rapporto ormai indissolubilmente incrinato ed incancrenito tra la piazza e la proprietà, ed ha capito che solo con l'appoggio dei tifosi può sperare di avere attorno a sé e alla squadra un ambiente sereno nel quale poter lavorare. La contestazione a Cairo è viva e vegeta e non si placherà affatto anche in futuro per cui Baroni sa che la squadra deve partire col piede giusto (sebbene il calendario in questo non aiuti affatto) perché sennò rischierebbe di ritrovarsi coinvolta nelle ire mai sopite dei tifosi granata. A differenza di Vanoli però, Baroni cerca di non fare il capopopolo: è di indole meno sanguigna rispetto al mister silurato a giugno da Cairo perché colpevole "di allenare i tifosi e non i giocatori" con le sue dichiarazioni, e questo lo aiuta, ma è anche sufficientemente intelligente da non azzardarsi a ripercorrere le sfortunate orme del collega che lo ha preceduto. È un mister "silenzioso" in questo senso e la cosa può essere positiva: meglio fare parlare i fatti, una regola aurea che tutti dovremmo seguire ognuno nella propria vita. Però il calcio non è una scienza esatta e l'essere in una società il cui presidente sposta bottigliette in maniera inconsulta durante un incontro con i giornalisti di certo non farebbe dormire sonni tranquilli a chi spera di avere le spalle coperte dalla dirigenza.

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Baroni è al Toro perché dopo la Lazio (e un presidente non certo facile come Lotito) questa era la sistemazione meno peggiore che potesse trovare per non uscire dal giro. E in più ha poco da perdere: la proprietà non gli chiede risultati e, in prospettiva di ricollocazione, il nome Torino fa ancora un certo effetto sul curriculum. Uno step a basso rischio e buona resa per il proprio futuro professionale dopo che l'ascesa sembrava essersi arrestata con quella sconfitta col Lecce all'ultima giornata della scorsa stagione. Il Gattopardo Cairo d'altronde aveva bisogno, dopo i "rivoluzionari" Juric e Vanoli, di un sottoposto più "tranquillo" e più aziendalista: nella sua politica del "che tutto cambi affinché non cambi nulla" un Baroni è sicuramente un profilo più adatto rispetto a qualche altro allenatore che magari ha anche la pretesa di fare risultati e di avere certi investimenti. Se poi ci fosse l'inciampo della conquista dell'Europa ci penserà come sempre il presidente a smontare scientificamente il giocattolo che ha funzionato troppo bene, depotenziandolo e portando a casa plusvalenze investendo il meno possibile. Un giochino rodato da più di un decennio e che permette al presidente di dormire tranquillo ogni stagione e di evitare quello che più teme di ogni altra cosa: tirare fuori soldi propri. E non ingannino gli arrivi di Simeone o Aboukhlal: se davanti la squadra sembra essersi rinforzata, non altrettanto si può dire della difesa. Come sempre la coperta al Toro è un po' cortina e se il mister di turno non si lamenta, eccolo qua, l'ennesimo capolavoro del Gattopardo....

Da tempo opinionista di Toro News, do voce al tifoso della porta accanto che c’è in ognuno di noi. Laureato in Economia, scrivere è sempre stata la mia passione anche se non è mai diventato il mio lavoro. Tifoso del Toro fino al midollo, ottimista ad oltranza, nella vita meglio un tackle di un colpo di tacco. Motto: non è finita finché non è finita.

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