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Il granata dalla porta accanto

Che effetto farebbe un Ardito nel Torino di oggi

Alessandro Costantino
Alessandro Costantino Columnist 
Il Granata della Porta Accanto/ Manca emotivamente parlando l'autenticità, spesso anche rude, del calcio di una volta

Mentre il Toro è atteso dalla trasferta di Roma per la sfida con i giallorossi di Gasperini nella quale Baroni vivrà una sorta di derby in quanto ex allenatore della Lazio, il presidente Cairo continua la sua personale litania pubblica raccontando la solita storia "che non c'erano nemmeno i palloni" quando è arrivato, che venderà il club solo ad uno più bravo e più ricco di lui e che la contestazione non la sente manco più. Il poter gestire la comunicazione pubblica senza contraddittorio di sicuro lo avvantaggia nel ripetere mezze verità che alla lunga si trasformano agli occhi dell'opinione pubblica in verità assolute facendo sembrare i tifosi granata un gruppo di isterici incontentabili. C'è però chi indirettamente mette, anche involontariamente, qualche puntino sulle i di ciò che racconta urbi et orbi il nostro presidente. Lo ha fatto, ad esempio Andrea Ardito, indimenticato centrocampista della primissima ora del Torino FC. Alla domanda sulla questione dei palloni in quella famosa estate del 2005 non dice che "non c'erano i palloni" come ama ripetere Cairo, ma semplicemente e più realisticamente che c'erano "pochi palloni" il che rendeva meno agevole allenarsi per una società professionistica di B come era il neo risorto Torino post fallimento. Molto onestamente, poi, nella stessa intervista riconosce anche che erano giorni di grande incertezza e che quindi non era semplice concentrarsi solo sul campo visto quanto stava accadendo fuori a livello societario. È interessante sentire le parole di Ardito perché sintetizzano bene l'entusiasmo che si respirava in quel periodo al Torino: c'era aria di rinascita, c'era voglia di iniziare una nuova Golden Age nella quale Papa Urbano sembrava poterci portare e soprattutto verso la quale aveva tutte le condizioni ottimali per portarci. La storia, dopo vent'anni, purtroppo, ha detto altro e penso che anche fra cent'anni quello che si evidenzierà analizzando la presidenza Cairo sarà prima di tutto l'immenso tesoro di entusiasmo e calore che ha disperso sprecando un'opportunità più unica che rara. Poteva essere il De Laurentis del Torino e invece Cairo si è accontentato di posizionarsi in un limbo asfittico e amebatico che nel tempo ha generato il clima avvelenato tra tifosi e società inaspritosi ulteriormente nelle ultime stagioni. Calciatori come Ardito, ma potrei citare Brevi, Nicola o Muzzi e sarebbe lo stesso, pur non essendo campioni assoluti rappresentavano in quei giorni di rinascita agli occhi dei tifosi i prototipi dei giocatori (e degli uomini) degni di indossare la maglia granata. Il calcio oggi si è evoluto in una direzione che vorrebbe privilegiare la qualità dei giocatori, ma in realtà lo ha fatto impoverendo l'essenza del gioco stesso. Maradona negli anni Ottanta saltava come birilli difensori che entravano in campo con il porto d'armi e verso i quali doveva essere molto più bravo se voleva fare la differenza (e salvare le gambe).

Oggi il gioco e le sue regole puniscono oltre modo il contatto ma non per questo si vedono più giocatori saltare l'uomo o partite estremamente più spettacolari. Anzi guardare una partita di calcio di oggi è come guardare una partita giocata alla PlayStation: sembra quasi finta tanto è scontata e preconfezionata. Manca l'autenticità, spesso anche rude, del calcio di una volta, e mancando questo aspetto si arriva sempre di meno al cuore della gente perché si depotenzia l'aspetto passionale del football per come era stato pensato da chi l'aveva inventato. Tutto si trasforma, nulla resta immutato nel tempo ed era normale che anche il calcio cambiasse, per la carità, ma c'era modo e modo di indirizzare il cambiamento e quello che è stato scelto, di portarlo verso la spettacolarizzazione tipica degli sport-show "all'americana", personalmente non mi piace e non mi sembra che piaccia ad una larga fetta di tifosi over 30, senza però entusiasmare, se di fondo quello era l'obbiettivo, neppure quella fetta di tifosi under 30 che dovrebbero essere i fruitori del prodotto calcio di domani. Quanto ci mancano gli Ardito e i Nicola, i Gazzi e i Vives? Perché il calcio vero non è determinato dal numero di gol che si vedono in una partita (che poi fondamentalmente è sempre stato il problema di fondo del perché il soccer non ha mai attecchito negli USA) ma è fatto dall'insieme delle giocate, non solo quelle spettacolari, che fanno di una partita una complessa matassa di mille sfaccettature.

Ricordo, a tal proposito, che in una delle prime interviste di Nkoulou appena arrivato in Italia, il difensore franco camerunense si disse sorpreso dell'enfasi che i tifosi granata mettevano nel sottolineare le sue giocate difensive. È certo, perché questo è sempre stato il nostro modo di intendere il calcio: apprezzavamo e amavamo i Meroni, i Claudio Sala, i Lentini, gli Junior o i Martin Vazquez, ma adoravamo al tempo stesso i Ferrini, gli Agroppi, i Bruno, gli Annoni o i Glik perché nelle loro gesta c'era tanto del cuore granata che non può non essere segno distintivo di chi veste la nostra maglia. Mi capitò di parlare con Ardito e quando gli dissi che avrei voluto dieci come lui in campo molto autoironicamente rispose che era meglio di no, perché se fosse successo le partite sarebbero finite tutte zero a zero. Probabilmente aveva ragione, ma il calcio ha sempre avuto mille modi di essere vissuto e interpretato e il Tiki taka o il calcio champagne non deve essere l'unico parametro qualitativo per valutarlo. Baroni dice che sta lavorando sulla mentalità della squadra e sicuramente sappiamo che il suo non è un lavoro facile in così poco tempo. Ma alla fine ciò che ci aspettiamo da lui e dalla squadra è ciò che da sempre chiediamo: gente che lotta e gente che ci creda sempre, sudando la maglia. Se poi a questo si riesce ad unire un bel gioco e lo sfruttamento al meglio delle qualità di ogni giocatore, si fa bingo! Magari invece che Velasco come motivatore, al Toro basterebbe, ad esempio, far fare a Casadei due chiacchiere con Ardito senza voler andare a scomodare icone assolute come Paolino Pulici. In fondo anche dalle piccole cose nasce il cambiamento e per guardare avanti spesso occorre guardare indietro a cosa funzionava e a cosa può essere nuovamente fonte di rinnovata ispirazione. Basta solo volerlo.

Da tempo opinionista di Toro News, do voce al tifoso della porta accanto che c’è in ognuno di noi. Laureato in Economia, scrivere è sempre stata la mia passione anche se non è mai diventato il mio lavoro. Tifoso del Toro fino al midollo, ottimista ad oltranza, nella vita meglio un tackle di un colpo di tacco. Motto: non è finita finché non è finita.

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