La sensazione che bastasse poco per sovvertire l'esito della sfida col Wolverhampton, si scontra con il realismo di una società che si deve autogestire in un equilibrio virtuoso tra entrate ed uscite. Ma io resto disorientato perché sono tifoso e non commercialista ed avrei voluto vedere il mio Toro nei gironi di Europa League, al di là dei conti societari. Ragione e sentimento viaggiano su due binari paralleli, si sa. O forse no se pensiamo che Squinzi patron del Sassuolo mette ogni anno attraverso la sua Mapei 18 milioni di euro in una sponsorizzazione talmente spropositata che nemmeno le grandi squadre ne hanno di così ricche. Dunque mi chiedo, non potrebbe farlo anche Cairo se davvero volesse raggiungere certi traguardi sportivi? Domanda retorica, perché la risposta è sempre la stessa: piano piano il Torino cresce, va bene così, non c'è bisogno di misure drastiche. Intanto gli anni passano, le generazioni di tifosi si succedono e il mondo corre. Ci fosse almeno un piano di lungo termine a cui aggrapparsi (stadio di proprietà, investimenti massicci sul vivaio, esportazione del brand Toro nel mondo o cose del genere) e invece si parla di "ciliegine" che sanno tanto di quelle brioches che Maria Antonietta ai tempi della rivoluzione francese voleva che fossero date al popolo che si lamentava della carenza di pane. Resto disorientato, ma fisso in una cosa: la passione per il Toro, per quei ragazzi che lottano sino all'ultimo su ogni pallone. Non è accontentarsi, è l'essenza di tifare Toro e nessuna esigenza di bilancio me la potrà mai portare via.
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