tor columnist il granata della porta accanto Le ricette per salvare il calcio (e il Toro) a cui nemmeno Cairo crede

Il granata della porta accanto

Le ricette per salvare il calcio (e il Toro) a cui nemmeno Cairo crede

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Il Granata della Porta Accanto/ Fa più rumore un'intervista che una foresta che cresce...
Alessandro Costantino
Alessandro Costantino Columnist 

È sempre bello sentire pontificare gli altri su come risolvere i problemi e accorgersi, mentre ciò avviene, che chi parla è il primo a non fare ciò che sostiene si dovrebbe fare. Il classico esempio del detto "da che pulpito viene la predica...". Sentire parlare Cairo della situazione attuale del calcio (e del Torino) è come sentire me parlare di fisica quantistica: un monologo imbarazzantemente superficiale e qualunquista. Con la differenza che io non ho lavorato 20 anni al CERN di Ginevra o insegnato alla Normale di Pisa, mentre lui sì che negli ultimi due decenni ha vissuto il calcio da attore (non) protagonista. Nell'ultima intervista rilasciata dal patron del Torino sullo stato attuale del calcio italiano, invece di fare un mea culpa per la gestione fallimentare dei dirigenti del mondo del pallone italico nell'ultimo quarto di secolo, Cairo si lamenta del governo che non ha dato ristori in tempo di Covid ad "una delle industrie più grandi del Paese". Un'industria di cui lo stesso Cairo sottolinea i 3 miliardi di debiti accumulati complessivamente da tutto il movimento e che però, secondo lui, doveva essere aiutata perché contribuisce pesantemente al gettito fiscale italiano oltre a dare lavoro direttamente ed indirettamente a centinaia di migliaia di persone. Secondo Cairo in periodo di COVID lo Stato, che stava affrontando un'emergenza mai vista prima d'ora, invece di dare una mano a chi non poteva farcela veramente ad arrivare a fine mese per colpa del blocco quasi totale delle attività economiche, avrebbe dovuto destinate risorse pubbliche, cioè soldi di noi tutti, a chi aveva sperperato risorse in stipendi faraonici e commissioni ultra milionarie dilapidando ricavi televisivi da capogiro e introiti stellari. Come no: una bella rivisitazione di storie come "La cicala e la formica" o l'episodio di Lucignolo di Pinocchio in chiave welfare!

Il calcio che permette alle solite squadre che vogliono monopolizzare i risultati di farlo accumulando debiti su debiti deve anche essere aiutato a spese dei contribuenti: una pura follia anche solo a pensarla. E invece tutto ciò viene affermato da Cairo in maniera molto naturale, quasi piccata per come sono poi andate le cose.

C'è poi la parte sul tema del perché la Nazionale faccia fatica da decenni a stare al passo con le altre selezioni nazionali. Qui il capolavoro dialetticamente ipocrita di Cairo raggiunge vette sopraffine: "In Italia abbiamo la maggior parte dei minuti giocati da giocatori stranieri. I giovani li abbiamo, però dobbiamo farli giocare. Non so se servano paletti all'arrivo dei giocatori stranieri, ma possiamo creare le condizioni che favoriscano i nostri ragazzi". Detto da uno che nel proprio club ha solo Casadei in rosa come giovane italiano. 90 minuti di applausi. La vita è fatta di scelte e di indirizzi che si vuole dare ai propri percorsi: non sempre si è lineari e coerenti come si vorrebbe, ma se si segue una propria "stella polare" che indica il cammino la direzione seguita sarà probabilmente più o meno sempre quella voluta. Non occorre quindi avere una norma ad hoc per fare una scelta sul fare giocare gli italiani o sul comprare giocatori italiani.

Se Cairo crede nei giovani italiani come soluzione per salvare il nostro calcio e la Nazionale perché non convoca in riunione Vagnati e Ludergnani e comunica loro che da domani gli innesti in maglia granata, sia nelle giovanili che in prima squadra, dovranno essere solo di giocatori italiani? Cosa lo frena dal mettere in pratica quello che sventola a destra e a manca come ricetta miracolosa? Come ama ripetere, il Torino è suo e, visto che non lo vuole vendere, ma ha piena facoltà di deciderne lui le strategie, perché non fa applicare in concreto dai suoi sottoposti quanto ripete a tutti i media in continuazione? Invece il Torino è la squadra in Europa con il maggior numero di nazionalità rappresentate in rosa: un dato in totale controtendenza con quanto affermato da Cairo. Inoltre Cairo sottolinea sempre la necessità di "investire in tecnici e strutture". Se avesse cominciato a farlo concretamente dieci anni fa, quali sarebbero i risultati oggi? L'iter del Robaldo, che ricordiamo è ancora incompiuto sebbene alcune annate lo abbiano cominciato ad utilizzare da settembre nella parte completata, è il simbolo dell'inazione di Cairo nella sua gestione del Torino FC. Cosa sarebbe successo se il Robaldo fosse stato costruito e messo in opera in un paio di anni invece che in un tempo di cinque volte più lungo? Almeno una generazione di giovani calciatori avrebbe potuto formarsi lì dentro e oggi magari essere in rampa di lancio per la prima squadra. L'imprenditore che investe, che ha fame di realizzare i propri progetti, che ha visione e vuole vedere i propri sforzi fruttare agisce con decisione, pronto a superare ogni ostacolo perché ha in mente una meta ben precisa. Un conto è comprare per poco un'automobile scassata, rimetterla all'onore del mondo e magari rivenderla guadagnandoci un tot. Un conto è immaginare di poter investire in una linea produttiva, sfornare modelli nuovi e fare soldi vendendo automobili. Sta tutta qui la differenza tra come Cairo ha gestito il Torino post fallimento e come lo si sarebbe potuto pensare un "nuovo" Toro.

Il Torino post Cimminelli era un'automobile scassata da rottamare. Cairo ha scelto di aggiustarla alla bene e meglio, ma avrebbe potuto rifondare da zero un Torino moderno, proiettato nel futuro costruendo solide basi per raccogliere frutti nel tempo. L'editore alessandrino ama dire che "non c'erano nemmeno i palloni" quando è arrivato lui. Non c'era nulla di fisico, vero, ma c'era qualcosa di enormemente più importante: un popolo ancora numeroso, entusiasta e tremendamente voglioso e bramoso di tornare ai fasti di un tempo nemmeno troppo lontano. Un popolo che lo avrebbe seguito anche sulla Luna. Si poteva investire davvero in strutture (che non c'erano ed oggi, Robaldo a parte, ancora non ci sono), in competenze (ma sono stati allontanati tutti gli ex Toro e solo Petrachi e Ventura hanno portato un plus in questo senso) e in professionisti sia a livello dirigenziale (manca da sempre un direttore generale plenipotenziario alla Marotta o alla Galliani) che a livello di osservatori e istruttori nelle giovanili. Ci arrabattiamo pescando qualche jolly ogni tanto ma senza una vera, profonda, duratura e di ampio respiro progettualità. D'altronde è più facile lanciare ricette salvifiche a cui nemmeno lui (e i fatti lo dimostrano) crede, sfruttando la visibilità mediatica piuttosto che costruire e seminare giorno per giorno. Parafrasando un detto orientale: fa più rumore un'intervista che una foresta che cresce...

Da tempo opinionista di Toro News, do voce al tifoso della porta accanto che c’è in ognuno di noi. Laureato in Economia, scrivere è sempre stata la mia passione anche se non è mai diventato il mio lavoro. Tifoso del Toro fino al midollo, ottimista ad oltranza, nella vita meglio un tackle di un colpo di tacco. Motto: non è finita finché non è finita.

Disclaimer: gli opinionisti ospitati da Toro News esprimono il loro pensiero indipendentemente dalla linea editoriale seguita dalla Redazione del giornale online, il quale da sempre fa del pluralismo e della libera condivisione delle opinioni un proprio tratto distintivo.