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Il granata della porta accanto

Toro: vogliamo i “professionisti” non i “mercenari”

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Il Granata della Porta Accanto / Quando si entra sul rettangolo verde chi è uomo vero e calciatore vero dimentica tutte le dinamiche malate che stanno al di fuori
Alessandro Costantino
Alessandro Costantino Columnist 

Contrariamente a quanto pensa qualcuno, che evidentemente non conosce la mia smisurata passione per il Toro, ho goduto tantissimo per la vittoria sofferta, ma fondamentale, con la Cremonese: ero in Maratona e ho gioito perché quei tre punti sono stati fondamentali per non piombare in una crisi nera che si stava affacciando preoccupantemente. Io sono sempre l'essere più felice del mondo quando il Toro fa bene, sempre. Anche se ciò prolunga la permanenza di Cairo alla presidenza. Che il presidente abbia finito il suo tempo al Torino lo penso e lo scrivo da tempi non sospetti, in questo sono perfettamente allineato alle parole dure e dirette di Willy Peyote, ma, per capirci, non sono di quelli (e mi auguro comunque che siano pochi) che sperano nella B per togliersi di mezzo il patron alessandrino. Appoggio la contestazione ad oltranza, ma sostengo la linea della Maratona che non vuole che la squadra sia coinvolta e rischi la retrocessione. Ovviamente Baroni e i suoi devono fare il massimo per "meritarsi" il nostro supporto che è incondizionato fino a prova contraria... Perdere o vincere fa tutta la differenza del mondo, ma spesso per noi tifosi del Toro la discriminante per sostenere i ragazzi a prescindere non è legata al mero risultato.

Domenica ho benedetto i tre punti contro la squadra di Nicola ma mi sarei aspettato di più da tutti, soprattutto nel secondo tempo: anche qui, per chi mi conosce, non sono di quelli che elogia tutti quando si vince e spala melma su chiunque quando si perde. Al contrario ritengo che le critiche più costruttive si possano fare proprio quando i risultati sono positivi perché è il momento migliore affinché possano essere assimilate e digerite meglio. È per questo che ora che le acque si sono calmate con la vittoria sui grigiorossi di Nicola, Baroni ha l'obbligo di fare tesoro delle critiche e dimostrare nelle prossime quattro partite di avere le idee chiare oltre ad un progetto tecnico finalmente stabile. Sassuolo Cagliari, Verona e Udinese sono squadre impegnative ma non fuori portata: al di là di un discreto numero di punti, almeno tra i 7 e i 9 da fare a tutti i costi, sarà importante giocare con un piglio diverso. Più solidi dietro, riducendo le amnesie difensive, più concreti davanti, sfruttando più cinicamente le occasioni create. Occorre giocare da squadra vera, questo punto per me sarà fondamentale e rappresenterà la vera cartina tornasole per indirizzare Petrachi a fare un mercato di ritocchi o, al contrario, una mezza rivoluzione. Lo stesso Baroni deve decidersi a puntare su uomini che siano tali a prescindere dai nomi: se Casadei vuole rimanere l'eterno enfant prodige che forse un giorno esploderà, lo faccia pure ma accomodandosi in panchina come è successo nelle ultime gare, così come se Ngonge ha bisogno di un anno per tornare quello di Verona, occorre fargli presente che un anno non lo abbiamo per aspettare Godot.

Che non si guardi ai nomi, alle plusvalenze potenziali o ai pupilli: si mandino in campo quelli assetati e affamati, giochino quelli che vogliono dare il 110% perché il 100%, se mai lo stavano dando, si è rivelato non sufficiente finora. Paleari e Vlasic hanno alzato il proprio livello in questi ultimi tempi e il loro rendimento è cresciuto: che vengano imitati dai compagni. Noi tifosi siamo pronti a sostenere chiunque indossi la maglia granata a patto che faccia dal 101% in su perché dal 99% in giù non è bastato finora e non sarà più giustificato. Qualcuno dirà che la squadra è lo specchio della società e che quindi non si può pretendere troppo visto l'andazzo che ha chi comanda ai piani alti. Sono d'accordo fino ad un certo punto: il campo non mente. Mai. Quando si entra sul rettangolo verde chi è uomo vero e calciatore vero dimentica tutte le dinamiche malate che stanno al di fuori e si spende in toto per il "gioco". Per un giocatore giocare è tutto, non è negoziabile. Ecco perché quelli bravi veramente non si tirano mai indietro: perché onorano il gioco, la primaria passione che sin da bambini li ha spinti a intraprendere il lungo e difficile cammino per diventare professionisti. Si abusa spesso della parola "professionista", dandogli una connotazione negativa quando bisognerebbe semplicemente scindere tra ciò che succede in campo e ciò che succede fuori quando si firmano i contratti o si fanno le interviste in TV. Sul campo, a mio parere, i giocatori veri non sono professionisti: sono "animali" da competizione, puro istinto, puro agonismo, pura simbiosi con l'erba verde che arano su è giù e senza alcun calcolo "da professionisti" che tenga. Quelli che non si comportano così sono in realtà "mercenari", cioè quelli che rappresentano il lato oscuro dei professionisti. Quelli che cambiano squadra e dicono che sono "professionisti" per giustificare le peggiori scelte che si possano fare alla faccia dei tifosi. Questi vanno chiamati con il proprio nome: mercenari. Ecco allora tifiamo per i ragazzi che danno tutto in campo, contestiamo la presidenza che permette di avere in squadra più mercenari che professionisti e soprattutto rimaniamo genuini noi, tifosi granata. Non permettiamo che "loro" ci cambino e non permettiamo di farglielo fare. Godiamo per il nostro Toro e teniamo alta la guardia denunciando e contestando coloro che non ci permettono di vivere come sappiamo la nostra passione, arrivando a calpestarla e sminuirla costantemente. Fuori i mercenari "dal tempio" e dentro i professionisti che sul campo sanno trasformarsi in giocatori veri, passionali e appassionati. Questa è la differenza tra fare un Torino e fare un Toro.