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Io continuo a pensare che una società di calcio è una piramide e che i suoi risultati sono proporzionati principalmente a quanto e come lavora il suo vertice, cioè il presidente, mentre la base (i tifosi) sono le fondamenta su cui si regge quel mondo di valori e di passione che è il motore di un club e del calcio in generale. Forse ha ragione Agroppi che dice molto semplicemente che i giocatori del Toro di oggi sono inferiori a quelli degli anni Settanta, ma che i tifosi oggi si aspettano le stesse cose che si aspettavano negli anni Settanta. Anche se così fosse, io non ci vedrei nulla di male se i tifosi ragionassero così giacché sono tifosi e vogliono il meglio per la propria squadra. Piuttosto, in un mondo cambiato radicalmente come quello del calcio, in 18 anni di presidenza, Cairo avrebbe dovuto trovare la formula giusta per ottenere il massimo in relazione a quanto si aspettavano i tifosi, strutturando società e staff tecnici in modo da avvicinarsi il più possibile a ciò che i tifosi ambiscono. E i tifosi sono i “clienti” delle società di calcio, per cui dovrebbero avere sempre ragione…
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Puntare sul vivaio è scelta giusta, ma è scelta che doveva essere fatta 18 anni fa in modo che da più di dieci anni a questa parte si sarebbero già raccolti i risultati sul campo di una tale strategia. Così come la gestione degli obbiettivi sportivi dovrebbe essere di competenza della società e non del mister di turno: come fa Juric ad “autoesonerarsi” dicendo che non ha senso la sua permanenza in caso di mancato approdo europeo se la società non ha mai dichiarato di puntare all'Europa?
Al Toro da moltissimi anni tutto si trasforma in un “caso” perché spesso non c'è chiarezza a monte su ruoli, obbiettivi e linee guida che dovrebbero definire il perimetro di azione di chi lavora dentro al mondo Toro. E la voce dei tifosi, soprattutto per quanto riguarda le linee guida, cioè l'insieme di quei valori e quel modo di fare che dovrebbe essere tipico di chi agisce in nome e per conto del Torino sia in campo che fuori, non è sufficientemente ascoltata e presa in considerazione. Se anche uno come Ian Wright (ex Arsenal) che ha giocato una sola volta contro il Torino, dopo trent'anni si ricorda dell'incredibile ambiente che aveva trovato in quel quarto di finale di Coppa delle Coppe del 1994 significa che, se oggi siamo come siamo, è perché è stato dilapidato un patrimonio pazzesco di valori, capacità e convinzioni che rendevano il Toro un club speciale e diverso da quasi tutti gli altri. Chiedersi oggi di chi sia la colpa è, per me, infinitamente meno importante che sapere che si è ricominciato a lavorare, a tutti i livelli, per riportare il Toro alla dignità sportiva che aveva fino a trent'anni fa. Perché in futuro altri calciatori importanti arrivino a dire quanto sia stato pazzesco giocare contro il Torino: questo è quello che conta, non vincere o non vincere…
Da tempo opinionista di Toro News, do voce al tifoso della porta accanto che c’è in ognuno di noi. Laureato in Economia, scrivere è sempre stata la mia passione anche se non è mai diventato il mio lavoro. Tifoso del Toro fino al midollo, ottimista ad oltranza, nella vita meglio un tackle di un colpo di tacco. Motto: non è finita finché non è finita.
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