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Ternana-Torino 0-1. Rete: 65' Pulici.
Castellini si era messo in luce nel Monza. “L’Intrepido” aveva pubblicato in apertura una foto di un suo volo plastico, il corpo orizzontale a un metro da terra, che lo rese l’idolo di noi ragazzini tifosi dei portieri. Non era il solo portiere seguito dal Toro: a Novara si parlava molto bene di Felice Pulici. Quando Giacinto Ellena, responsabile dell’intero settore scouting del Torino, fu chiamato dal Dottor Bonetto per fare il punto sulla scelta del portiere in base alle relazioni degli osservatori su entrambi i giovani (del Monza e del Novara), il Dottore propose: “E se li prendessimo tutti e due? Così risolviamo il problema del portiere per un po’ di anni”.
“Guardi dottore, in tutti i ruoli si possono fare degli aggiustamenti, in quello del portiere c’è un posto solo: o giochi, o fai la panchina. I ragazzi sono bravi entrambi, ma noi dobbiamo prendere solo Castellini, così anche l’altro potrà fare la sua strada”.
Esordio in campionato:
Torino. Stadio Comunale. 27 settembre 1970. 1° giornata Serie A 1970/71.
Torino-Foggia 1-1
Reti: 58' C. Sala (T), 61' rig. Maioli (F).
Torino. CASTELLINI; Agroppi, Fossati;
Puia, Cereser, Ferrini; C. Sala, Rampanti, C. Petrini, Maddè, (80' Crivelli), Pulici. 12° Sattolo. Allenatore: Giancarlo Cadè.
Foggia. Trentini; Fumagalli, Colla; Pirazzini, Lenzi, Montefusco; Saltutti, Garzelli, Bigon, Luigi Villa, Maioli. 12° Crespan, 13° Re Cecconi. Allenatore: Tommaso Maestrelli.
Arbitro: Giunti (Arezzo). Spettatori 33.000 circa
Alla vigilia del Campionato 1975-76, scolpito nella memoria di tutti i granata che vissero quel momento irripetibile e conosciuto dai più giovani attraverso i racconti di “chi c’era”, un episodio divertente raccontato da Eraldo Pecci, nel suo libro “Il Torino non può perdere”. Pecci, appena acquistato dal Bologna, arriva in un pomeriggio d’estate a Courmayeur nell’hotel del ritiro del Torino. Lì comincia a tramare uno scherzo goliardico e, vista la stagione, un bel gavettone. Eraldo si apposta e da un terrazzino centra in pieno Castellini al rientro della “truppa” dalla sgambata in montagna. “Castello” guarda su e, individuato l’assalitore, sale i gradini della scala d’ingresso a tre a tre con l’atteggiamento aggressivo che gli abbiamo visto nei rinvii in campo. “Oh, come fa presto a cambiare il tempo in montagna, eh”, gli fa Eraldo con un largo sorriso. È anche di lì che nasce una Squadra.
In quel Torino tremendista c’è stato tanto di “Castello”, un metro e ottanta per ottanta chili di un fisico da decathleta prestato al calcio, che faceva sci d’acqua a piedi nudi sul lago di Como davanti alla “sua” Menaggio, che passava i lunedì insieme ai suoi amici spalloni verso la Val d’Intelvi e la Svizzera, che di mattina presto era all’ ippodromo di Vinovo per vivere momenti di tranquillità, lui così teso prima degli incontri importanti. Lui che ha sciato per anni praticamente a livello agonistico.
Nel Campionato dello Scudetto si è confermato ed ha rappresentato un baluardo, una sicurezza alle spalle di una Squadra per vocazione, per caratteristiche dei suoi elementi, fortemente votata all’attacco, non certo attendista o incline alla melina. Quanti punti portò al Toro in quella stagione, l’ “Acrobata”. Tra una parata facile e un tuffo plastico, non aveva dubbi: sceglieva il secondo. Guarda caso, tanti anni prima parava così Giorgio Ghezzi, “Kamikaze”, leggendario portiere romagnolo di Inter, Genoa e Milan. E questo modo di parare di “Castello”mandava in visibilio noi tifosi. Io iniziai a tenere al Torino per lui.
I primi derby che vidi dal vivo furono i due della indimenticabile stagione 1976-77. Poteva capitare solo al Torino AC di fare 50 punti su 60 disponibili e di arrivare secondo, con il miglior attacco e la miglior difesa. Ma d’altronde Boniperti l’aveva detto a Paolino Pulici, incrociandolo in Via Roma: "Scordatevi di vincere di nuovo".
5 dicembre 1976. Juventus-Torino 0-2.
Ad inizio secondo tempo, col Torino in vantaggio per una rete a zero, sotto la Maratona Castellini bloccò a terra. Dalla penna granata di Massimo Gramellini: “Circa un secolo dopo arrivò Benetti e tutti pensarono: dai che lo salta, per forza che lo salta.
Invece non lo saltò. Prese la mira e tirò un calcio al ginocchio di Castellini. Ma non era un pallone, era un ginocchio”.
La gravità del fallaccio, dell’intervento proditorio fu immediatamente evidente, per noi tifosi proprio lì vicino, nel Rettilineo di Tribuna. Il mio vicino dietro, tifoso veterano granata in cappotto spigato, che già aveva seguito il “Barùn” Causio durante il primo tempo, dedicandogli un’attenzione particolare, poté così comporre dei peana sui bianconeri che raggiunsero il cielo sopra il Comunale.
E così entrò a difesa della porta granata “Romanone” Cazzaniga.
3 aprile 1977. Torino-Juventus 1-1. Trapattoni e l’arbitro Casarin portarono l’incontro sul piano di un gioco continuamente interrotto, a tutto vantaggio dei bianconeri che volevano evitare il ritmo battente e il gioco arioso della squadra granata. Un match di scacchi in cui loro avrebbero addormentato la partita ed eventualmente colpito al primo errore della nostra difesa.
Ma al termine dell’incontro, sul risultato di 1-1 ormai fissato dall’inizio ( Causio al 6’, Pulici all’8’ ), nel finale nei miei occhi di giovane tifoso si fissò una sequenza di classe che ricordo ancora. Verso la fine, Causio fuggì nella sua posizione preferita di ala destra, superando di slancio Salvadori. Cross teso a mezz’altezza che Gigi Danova, dolorante alla spalla, non potè intercettare in elevazione. Alle sue spalle, il centravanti bianconero Boninsegna, uno dei più grandi numeri 9 all-time, aveva calcolato alla perfezione di quanto smarcarsi dal nostro difensore, sofferente e in chiara difficoltà. Sparò al volo di collo destro a due palmi da terra. Un bolide perfetto. Noi eravamo in tribuna esattamente all’altezza della linea di porta difesa da Castellini, verso la “Curva Filadelfia”, il feudo gobbo.
Vidi partire da centro porta un siluro in maglia verde, il corpo arcuato a piede uniti che arrivò sul suo palo di destra contemporaneamente al cuoio calciato dal bianconero. La nostra porta rimase inviolata. Non so se l’avesse toccata o meno, ma la rapidità d’intervento, l’ agilità, il colpo di reni prodigioso furono da urlo. Da “Giaguaro”, anche se mio zio che mi fece amare il Torino preferiva chiamarlo l’ “Acrobata”.
Fu un sincero dispiacere vederlo andare a giocare a Napoli. Ma la sfiducia da parte di Radice dopo l’espulsione rimediata a Düsseldorf il 3 novembre ‘76 in Coppa dei Campioni contro il Borussia Mönchengladbach e i fortissimi dissapori personali con l’allenatore avevano scavato un solco incolmabile.
Dino Zoff, suo amico, estimatore e testimone di nozze, gli aveva consigliato Napoli come prossimo approdo della sua carriera.
Ultima partita di campionato in maglia “granata”.
Torino. Stadio Comunale.
26 febbraio1978. 20° giornata del Campionato
1977/78.
TORINO - FOGGIA 3-1.
Reti: 4' lorio (F), 74' Mozzini (T), 84' Graziani (T), 86' Zaccarelli (T).
Torino. CASTELLINI; L. Danova, Salvadori;
P. Sala, Mozzini, Caporale; C. Sala, C. Butti, Graziani, Zaccarelli, Pulici. 12° Terraneo, 13° F. Gorin, 14° Santin.
Allenatore: Luigi Radice.
Foggia. Memo; Colla, Sali (77 Carm. Gentile); Pirazzini, Bruschini, N. Scala; Nicoli, Bergamaschi, Iorio, Del Neri,
A. Bordon. 12° Benevelli, 14° Salvioni. Allenatore: Héctor Puricelli.
Arbitro: Luigi Agnolin (Bassano del Grappa).
SPETTATORI: 29.568.
A Napoli Castellini vinse un Guerin d’Oro come miglior giocatore in assoluto di un’intera stagione ed il settimanale titolò semplicemente:
“Castellinissimo”. Un portiere così, il Torino non l’ha mai più avuto.
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Gianni Ponta, chimico, ha lavorato in una multinazionale, vissuto molti anni all’estero. Tuttavia, non ha mai mancato di seguire il “suo” Torino, squadra del cuore, fondativa del calcio italiano. Tra l’altro, ha scoperto che Ezio Loik, mezzala del Grande Torino, aveva avviato un’attività proprio nell’ambito dell’azienda in cui Gianni molti anni dopo sarebbe stato assunto.
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