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LASCIARCI LE PENNE

Per chi uscì un’ultima volta dal Fila e non poté ritornarci

Vecchio Filadelfia
Torna un nuovo appuntamento con la rubrica "Lasciarci le penne", a cura di Marco P.L. Bernardi

Marco P.L. Bernardi

Meditate che questo è stato:

vi comando queste parole.

Scolpitele nel vostro cuore

(Shemà di Primo Levi, da Se questo è un uomo)

Oggi, 27 gennaio, è il Giorno della Memoria.

Settantotto anni fa il campo di concentramento di Auschwitz veniva liberato dai soldati dell'Armata Rossa, rivelando al mondo il suo baratro di aberrazione. Non è possibile trovare le parole ed è meglio tacere, meditare nel silenzio e scolpire nel nostro cuore il comandamento di Levi. L'ombra di quegli anni ci lambisce, lambisce perfino la storia della nostra squadra.

Penso a Vittorio Staccione, conquistatore, nel 1927, del primo scudetto della nostra storia, poi revocato, che non poté partecipare alla gara d'inaugurazione del Fila perché malmenato dai fascisti che gli ruppero due costole. Deportato a Mauthausen per l'impegno politico, venne assassinato insieme al fratello, poco prima della liberazione, a Gusen (lo stesso lager nel quale l'anno prima aveva trovato la morte Carlo Castellani, bandiera dell'Empoli, al quale è dedicato lo stadio toscano).

Penso a Ernő Egri Erbstein, direttore tecnico del Grande Torino, innovatore geniale e scopritore di talenti assoluti, perseguitato e costretto ad andare ramingo attraverso l'Europa devastata, per sfuggire alla morte. Discriminato e braccato, sopravvissuto a mille insidie e destinato a perire ancor giovane e libero, pochi anni dopo essere scampato all'orrore.

Penso a Bruno Neri, che per tre anni, tra il 1937 e il 1940, indossò la maglia del Toro (nel 1938 ebbe come mister proprio Erbstein, che già lo aveva allenato a Lucca) e cadde nel 1944 combattendo contro i nazisti. Era uno dalle idee chiare, Bruno: nel 1931, prima di un match, fu l'unico a non alzare il braccio nel saluto romano, venendo immortalato in una foto ormai leggendaria.

Penso ad Árpád Weisz, allenatore ungherese capace di vincere uno scudetto con l'Inter e ben due con il Bologna, assassinato, insieme alla moglie e ai due figli, ad Auschwitz.

Realizzo che il 9 ottobre 1938 i destini di tre di loro si incrociarono su un campo di calcio, Erbstein e Neri in granata e Weisz in rossoblù. Rileggo la cronaca della clamorosa vittoria per 3 a 0 del Torino a Bologna contro i futuri campioni d'Italia e scopro che Neri fu, con le parole di Vittorio Pozzo, l'uomo più tenace e continuativo della seconda linea.

Fu la penultima partita italiana di Weisz, che poche settimane dopo dovette abbandonare la panchina felsinea per tentare di mettersi in salvo, a seguito dell'applicazione delle leggi razziali. Gli ultimi brandelli di apparente normalità sportiva venivano spazzati via dalla follia che stava esplodendo in tutto il suo squallore.

Il 19 febbraio 1939 Torino e Bologna si incrociarono di nuovo, al Filadelfia, davanti a ventimila spettatori: Erbstein, che aveva portato i Granata in testa alla classifica, era stato costretto a dimettersi e a lasciare l'Italia, discriminato come il suo collega e connazionale.

Per la cronaca, la partita terminò 1 a 1 al termine di un incontro vibrante, ben descritto dall'inviato della Stampa Luigi Cavallero che morirà nella tragedia di Superga dieci anni dopo, proprio come Erbstein. Incroci beffardi della vita.

Penso a quei ventimila spettatori, armati di bandiere e vessilli della mia stessa squadra: chissà quanti tra loro saranno, di lì a poco, polverizzati dalla guerra, quanti verranno portati via dal vento dei campi di sterminio, come canta Guccini. Negli ultimi anni, lungo i nostri marciapiedi, sono fiorite le pietre d'inciampo, sampietrini ricoperti d'ottone che ricordano, sull'uscio di quella che fu la loro casa, donne e uomini assassinati nei lager. Io vorrei che ce ne fosse uno anche all'uscita del Fila, dedicato al tifoso ignoto che non tornò. Magari proprio uno di quei ventimila.

Il nostro antico stadio è la casa del popolo granata e vorrei che ci fosse, sul suo uscio, una pietra d'inciampo. Per non dimenticare, come chiedeva Primo Levi.

Invito il Torino F.C. a farsi promotore di questa iniziativa. Lo stesso invito lo rivolgo alla Fondazione Filadelfia, alle associazioni granata, al Museo del Grande Torino e della Leggenda Granata, ai Toro club, ai tifosi vip, ai politici, ai media. Non so se fuori da qualche altro impianto calcistico europeo sia mai stata posta una di queste pietre, ma credo che sarebbe giusto. Doveroso. E granata.

Come un abbraccio a chi uscì, un'ultima volta, da quello stadio e non poté ritornarci mai più.

Autore di gialli, con "Cocktail d'anime per l'avvocato Alfieri" ha vinto l'edizione 2020 di GialloFestival. Marco P.L. Bernardi condivide con il protagonista dei suoi romanzi l'antica passione per il Toro e l'amore per la letteratura e la canzone d'autore.

Attraverso le sue rubriche, grazie al lavoro di qualificati opinionisti, Toro News offre ai propri lettori spunti di riflessione ed approfondimenti di carattere indipendente sul Torino e non solo.

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