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toronews columnist Lavagnetta granata: partenza in salita, segnali in campo. Ora il salto di qualità
Lavagnetta Granata

Lavagnetta granata: partenza in salita, segnali in campo. Ora il salto di qualità

Riccardo Levi
Sosta finita, ora c’è il Napoli di Conte: partita spartiacque. Il Toro arriva da un avvio sofferto, ma con qualche mattoncino messo: più gamba, più idee sugli esterni. Il punto? Trasformare i “quasi” in certezze

Dopo due mesi di campionato si può dire che il Toro una fisionomia la stia cercando, ma non l’abbia ancora trovata. Vlašić ne è l’esempio più evidente: giocatore sempre presente ma mai davvero nel vivo, una mezzala che corre ma non costruisce, un trequartista che non incide e un esterno che non allarga. Un’anima tattica senza indirizzo, simbolo di un sistema offensivo che vive più di inerzia che di idee. Baroni non ha ancora trovato la chiave per accendere il suo talento, e l’impressione è che il croato soffra l’assenza di un riferimento vicino: qualcuno con cui dialogare, per smettere di giocare spalle alla porta e tornare a creare superiorità. E qui si arriva al nodo più evidente: la totale assenza del tandem offensivo. In un intero avvio di stagione Baroni non ha mai davvero provato a far convivere due punte. Lo si è visto solo in qualche scampolo di partita, quasi per caso, eppure ogni volta che accade l’effetto è immediato: più profondità, più peso, più pericolo. Simeone e Ché Adams, o Zapata e Ché, sono coppie complementari che darebbero soluzioni diverse, e invece restano opzioni solo teoriche. Eppure, proprio Adams, relegato ai margini, ha risposto presente ogni volta che è stato chiamato in causa: ha segnato contro la Lazio, continua a farlo in Nazionale, e rappresenta un’arma che non si può più ignorare.

Una vera novità positiva si è vista sulle corsie, dove Nkounkou e Pedersen stanno cambiando il volto della squadra. Con loro in campo il Toro si apre, guadagna metri e riesce a respirare; con Biraghi e Lazaro invece si torna al solito copione di spinta a metà e transizioni spezzate. Gli esterni oggi possono diventare il vero valore aggiunto di questo gruppo, la chiave per dare una logica offensiva a una squadra che fatica.

Fragilità, cambi e casualità: i limiti di una squadra che si affida al caso?

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Se il lato offensivo resta un cantiere aperto, quello difensivo continua a essere la solita ferita che non si rimargina. I gol presi su palla inattiva cominciano a diventare un marchio: marcature confuse, zone piatte, disattenzioni che si ripetono come un disco rotto. Si parla tanto di identità e solidità, ma non può esistere nessuna delle due finché si regalano occasioni simili. Il paradosso è che la squadra in alcuni tratti difende bene, tiene le distanze e si compatta, ma poi vanifica tutto al primo corner o alla prima verticalizzazione avversaria. A questo si aggiunge una gestione dei cambi che continua a lasciare perplessi. A Parma, per esempio, nel momento in cui serviva spinta offensiva si è tolto il riferimento centrale; in Coppa col Pisa, con una partita ormai in mano, si è stravolto l’attacco invece di testare soluzioni vere. Ogni volta i cambi sembrano più dettati da un copione predefinito che dal contesto della partita. Il Toro si muove come una squadra che non reagisce, ma esegue. È questo il limite che poi risulta più pesante, quello che non si vede nei tabellini ma incide in ogni singola lettura: mancano coraggio, lettura e personalità ed il finale a Roma contro la Lazio né è l’esempio più lampante.

Cosa aspettarsi dal futuro?

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Il Toro oggi è una squadra ancora in costruzione, emotivamente più viva ma ancora tatticamente incompleta. Ha trovato un minimo di compattezza, ha ritrovato gamba e un filo di fiducia, ma resta troppo indietro rispetto al calendario. Si vedono idee nuove ma mai portate fino in fondo, miglioramenti che non si trasformano in abitudini. E se da un lato la squadra sembra finalmente voler crescere, dall’altro l’impressione è che serva un miracolo per uscire davvero da questo limbo.

E allora ecco il Napoli di Conte, la partita che può dire chi siamo davvero. Non basterà “tenere botta”: servirà una prestazione leggibile, con una logica chiara e riconoscibile. Difendere bene sulle palle inattive, restare alti con gli esterni, provare almeno per una volta due punte vere: questi i segnali che conteranno più del risultato. Perché contro il Napoli non ci si gioca solo tre punti, ma la direzione di un percorso: se il Toro saprà mostrare una crescita tattica, allora anche una sconfitta potrà servire; se invece rivedremo i soliti errori, sarà il campanello d’allarme che nessuno voleva sentire.

Riccardo è più che un semplice studente con il calcio nel cuore perché ha sangue granata nelle vene. Appassionato da sempre del Toro, coltiva il sogno di diventare match analyst grazie al suo entusiasmo per schemi e tattiche calcistiche. 

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