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tor columnist Lavagnetta Granata: Torino-Pisa una vittoria con gli scheletri nell’armadio

Lavagnetta Granata

Lavagnetta Granata: Torino-Pisa una vittoria con gli scheletri nell’armadio

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Giovedì 25 settembre si sono giocati all’Olimpico Grande Torino i sedicesimi di coppa Italia fra Torino e Pisa con i padroni di casa che escono vincitori e sfideranno la Roma agli ottavi. Intanto però i granata affronteranno il Parma in...
Riccardo Levi

La partita di Coppa era un banco di prova tutt’altro che scontato e, seppur i granata siano usciti vincitori, non si può dire che abbiano superato l’esame a pieni voti. È stata una gara povera di occasioni, con un Pisa apparso nettamente sottocategoria anche a causa del forte turnover di Gilardino, ma con un Toro incapace di imporsi davvero e, pur con un uomo in più, di chiudere i conti. Il momento è sicuramente complicato: tra la contestazione alla presidenza, un calendario tutt’altro che semplice e una preparazione atletica che non ha ancora prodotto i suoi frutti, la squadra fatica a trovare certezze. Questi fattori non bastano però a giustificare alcune difficoltà inspiegabili in più fasi di gioco.

Riassunto e momenti chiave

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La partita di giovedì è stata un concentrato di confusione e pochezza tecnica, con un Torino che ancora fatica a trovare un’identità precisa dopo i tanti cambi in panchina e un Pisa che, pur apparso nettamente sottocategoria, non ha mai dato l’impressione di poter fare il colpo grosso. L’avvio, in realtà, sembrava promettere bene: dopo pochi minuti Cesare Casadei ha avuto la prima grande occasione con un colpo di testa nato da un suo inserimento, palla fuori di un soffio, e poco dopo lo stesso centrocampista si è rifatto insaccando di prepotenza sugli sviluppi di un corner. Quel gol avrebbe potuto indirizzare la gara, ma da lì in avanti i ritmi si sono abbassati e la partita si è trascinata senza veri sussulti, con il Toro che ha provato a colpire in verticale ma senza creare grandi pericoli. Tra le poche note liete va sottolineata la prestazione degli esterni, soprattutto Pedersen e Nkounkou: il francese, in particolare, ha portato energia, corsa e volontà, qualità che erano mancate nelle ultime uscite, e la speranza adesso è di vederlo confermato anche contro il Parma in campionato, perché la sua intraprendenza potrebbe servire come il pane. Dal punto di vista tattico, il 3-5-2 di partenza si è confermato molto mutevole a causa delle marcature a uomo volute da Baroni: in diversi frangenti il Torino si è schiacciato in un 5-4-1, mentre nel finale di primo tempo, grazie alle galoppate di Pedersen e a Ali Dembelé come braccetto di destra mutabile in terzino, la squadra ha assunto i contorni di un vero e proprio 4-4-2. Un’idea interessante sulla carta, che in fase difensiva porta solidità, ma che non ha prodotto quasi nulla in avanti. Le scelte di Baroni, però, continuano a lasciare perplessità: singolare la decisione di non dare continuità di minuti a Ché Adams, che poteva essere almeno testato per qualche minuto in tandem con Simeone; invece, si è preferito rivoluzionare completamente il reparto offensivo con un triplo cambio. E la superiorità numerica non è stata sfruttata: l’ingresso di Lazaro sul finale è poi emblematico, fresco e con spazi da attaccare, si è rivelato sterile, incapace di creare nulla di concreto nonostante il Pisa fosse in dieci uomini dopo il rosso diretto a Cuadrado. Il paradosso è che l’unica vera occasione del secondo tempo non l’ha avuta il Toro, ma il Pisa: nel recupero Paleari ha dovuto salvare il risultato con un intervento decisivo di puro istinto, una parata che ha blindato la qualificazione agli ottavi e che, senza, avrebbe trasformato in beffa una partita già di per sé difficile da digerire. Nel complesso, dunque, il Toro porta a casa il passaggio del turno, ma lo fa lasciando ancora troppi interrogativi sul gioco e sulle scelte, con l’ennesima prestazione incolore che aggiunge più dubbi che certezze.

Il risultato è sicuramente ciò che conta ma non cancella i problemi

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Una nota positiva di questa serata è sicuramente la solidità che Ismajli sta trasmettendo al reparto arretrato: la sua presenza ha dato certezze e al momento sembra davvero che la difesa a tre sia diventata la scelta definitiva di Baroni, che pare aver accantonato le sue idee di gioco iniziali. Questo non significa però che il mister abbia rinunciato a sperimentare, anzi: al settantesimo, con l’ingresso di Asllani, il Torino si è sistemato con la linea a quattro, un centrocampo a tre e quindi un 4-3-3, confermando la volontà di rendere la squadra fluida e non legata a uno schema fisso. L’idea sulla carta è affascinante, ma la realtà racconta un’altra storia: gli interpreti che il Toro ha oggi non sembrano in grado di reggere questa continua trasformazione e, senza un’identità precisa, il rischio è di smarrirsi in corso d’opera. Aboukhlal è un esempio perfetto del momento della squadra: il suo ingresso porta freschezza, grinta e tanta voglia di incidere, qualità che non vanno mai sottovalutate, ma allo stesso tempo non bastano. Già a Roma, e oggi di nuovo, si è ritrovato davanti al portiere e ha sprecato l’occasione. Se entri con il compito di chiudere la partita, non puoi mancare in quelle situazioni: sono dettagli che fanno la differenza e che una squadra non può permettersi di non perdonare. E qui si apre inevitabilmente il capitolo sulle scelte di Baroni: lascia perplessi la decisione di non concedere minuti a Duván Zapata in una gara come questa, che sembrava perfetta per il suo rientro. Contro il Pisa, in Coppa Italia, senza particolari pressioni e con una difesa avversaria non irresistibile, sarebbe stato l’occasione ideale per fargli ritrovare fiducia e condizione. Al contrario, il Torino continua a dare l’impressione di non avere un vero piano offensivo: due gol stagionali, quello di oggi arrivato da palla inattiva, e pochissime azioni manovrate che abbiano portato a vere occasioni da rete. Simeone viene lasciato troppo spesso isolato a battagliare da solo contro intere difese, soluzione che può pagare in una giornata eccezionale come quella di Roma, ma che non può essere la regola in un campionato di 38 giornate. Lo stesso discorso vale per Ché Adams: è un giocatore che può legare il gioco offensivo ruotando al centravanti, che nasce come seconda punta, ma non può essere lasciato a fare il centravanti puro, con il peso di un reparto intero sulle spalle. L’impressione è che Baroni voglia avere tanti titolari pronti a ruotare, ma con questi interpreti la chiarezza è fondamentale: non puoi pensare di cambiare modulo e gerarchie a piacimento, perché i giocatori non sembrano in grado di adattarsi a un contesto senza riferimenti chiari. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: mancanza di fluidità, azioni che si fermano dopo tre passaggi, compagni che non si accompagnano, idee che si spengono sul nascere. E l’aspetto più preoccupante è che, pur con un uomo in più per diversi minuti dopo l’espulsione di Cuadrado, il Torino non sia riuscito a chiudere la partita, segnale che le difficoltà offensive sono strutturali e non più casuali. Un campanello d’allarme forte, che non può essere ignorato.

Qualche considerazione finale

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Posso sembrare ripetitivo lo so ma in un contesto del genere, il risultato non basta: servono idee, serve chiarezza e soprattutto serve un’identità di gioco che oggi non si vede. I granata faticano a imporre la propria superiorità anche contro un avversario ridotto in dieci e privo di qualità, si affidano ancora una volta a un episodio da palla inattiva e non riescono a costruire nulla di realmente pericoloso su azione. La solidità difensiva garantita da Ismajli e la voglia di Nkounkou sono segnali da cui ripartire, così come la grinta di Aboukhlal, ma senza concretezza e senza scelte coraggiose in avanti sarà difficile invertire la rotta. Il passaggio del turno salva la faccia, la parata di Paleari salva la qualificazione, ma a salvare la stagione servirà ben altro. Ora, però, non c’è tempo per riflettere troppo: al Grande Torino arriva il Parma e in campionato i granata hanno un disperato bisogno di tre punti. Restare fermi a quota 4 sarebbe pericoloso in un calendario tutt’altro che semplice, mentre una vittoria potrebbe finalmente restituire un po’ di sicurezza e fiducia a tutto l’ambiente.