
Belotti avrebbe potuto essere una bandiera ma ha ormai deciso di declinare questa possibilità, forse anche per un certo dissapore nei confronti di chi anni addietro, nel suo momento di massimo splendore, gli impedì un trasferimento sognato e sperato. Qualcosa che umanamente potrebbe anche essere comprensibile; lo è di meno la modalità che ha scelto il Gallo per lasciare Torino, senza dirlo apertamente e lasciando tutti sulle spine per oltre un anno. Qualche perplessità resta e non sarà cancellata nemmeno con un eventuale post di saluti su Instagram: i tifosi granata, che al Gallo hanno sempre riservato affetto incondizionato, meritavano un saluto vero, di persona, e non virtuale. Pienamente legittima è la scelta di voltare pagina (e un’idea ancor più chiara si potrà avere quando si saprà la sua prossima squadra), si può invece discutere sulle modalità con cui è stata presa: il modo con cui termina un rapporto incide sempre su come viene ricordato il rapporto stesso.
Belotti ha lasciato un segno indelebile nella storia del Torino ma ci troviamo ora a commentare un addio che non è all’altezza di ciò che ha rappresentato. La storia tra Belotti e il Torino lascia alcune lezioni da ricordare. Quella per la società: chi vuole andare via deve essere lasciato partire, senza se e senza ma. Quella per i tifosi, nel fatto che i giocatori passano, mentre la maglia resta.
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