Quale reale significato riveste, per costoro, lo scambiarsi gli auguri davanti ad un albero addobbato da luci intermittenti e ricolmo di doni? Facciamo regali ai nostri affetti per una mera convenzione nominalistica (è Natale, quindi la concezione meccanicistica della vita ormai pervasiva in ogni nostro comportamento ci impone di farli), o perché vogliamo dirgli attraverso un oggetto di essere pronti ad essere a loro disposizione senza pretese? Essere disposti a dare in modo del tutto gratuito, vuol dire aver compreso la necessità di fare qualcosa per la felicità degli altri proprio quando non si obbligati a farlo. Stabilisce un legame indissolubile con il soggetto al quale stiamo donando, e il dare finisce per rappresentare un’estensione di noi. Gesù, venendo al mondo, sa già che il suo percorso lo porterà inevitabilmente di fronte al “Golgota” a chiedersi: devo salire veramente sulla croce? Ne varrà veramente la pena? Le generazioni di persone per cui eventualmente lo farei, hanno sul serio le chance per essere migliori? I regali che ci scambiamo nella festa natalizia dovrebbero, teoricamente, essere una concreta manifestazione di fiducia e apertura verso gli altri. Quindi l’Uomo di Nazareth dovrebbe, apparentemente, aver trovato una risposta alle sue domande angosciose, che nell’ora del “Calvario” lo fecero addirittura precipitare per un attimo nel dubbio: “Padre, perché mi hai abbandonato?”. Ma, soprattutto, il regalo è un linguaggio che sa parlare.
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Anche su Andrea Belotti si è scritto tanto nell’ultimo periodo, persino per fare un suggestivo raffronto tra lui e Paolo Pulici, altra icona granata di ogni tempo. Non so quanti abbiano riflettuto sul fatto come di un’eventuale discesa del Toro nella serie inferiore, uno di quelli ad averne un qualche vantaggio sarebbe proprio l’attaccante di Calcinate, poiché sarebbe libero di accasarsi in una squadra di vertice e con un ingaggio di sicuro ben maggiore di quello attualmente percepito. In conseguenza di ciò, l’attaccante della Nazionale avrebbe tutto l’interesse a risparmiarsi nelle performance nell’attuale campionato, avrebbe ottimi buoni motivi per risparmiarsi fisicamente e tirare indietro le gambe per non rischiare infortuni, che potrebbero mettere a serio rischio un lucroso e ambizioso contratto futuro. Il Torino pare essere in piena Apocalisse, un mondo ormai in piena dissoluzione? La questione non ha molta importanza per Belotti, che continua a giocare e migliorarsi con un impegno e una costanza da essere indicato come esempio positivo a quegli americani convinti come nel mondo ormai non ci sia più nulla da salvare. Credere nel Natale, vuol dire credere nel domani, e se si crede nel domani necessariamente si deve credere all’importanza dell’oggi. Combattere tenacemente anche quando tutto appare ormai perso e senza senso, è prerogativa di quelle persone mai dome davanti alla propria debolezza e miseria. E’ provare ad essere giusti, nella convinzione come il “bisogno” umano non sia solamente quello materiale. Segno una caterva di gol, quindi voglio il Real Madrid e soldi con la pala. Essere giusti vuol dire provare ad uscire dal giusto razionale, e quindi comprensibile al nostro egoismo, per entrare nel giusto irrazionale, perché invisibile alla vista e al tatto. O meglio invisibile alla vista degli occhi o al tatto delle mani, ma con la possibilità di recuperare questi due sensi con il cuore.
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Vedere giocare Belotti nello sfascio del Torino attuale, è un riconciliarsi con un passaggio fondamentale della Bibbia. Abramo che riesce a convincere Dio a risparmiare la distruzione di una città anche se trovasse solo dieci uomini giusti, è Andrea Belotti testimone come nel calcio non regni esclusivamente la legge del mercimonio. E’ un dono riposto sotto l’albero di natale di noi tifosi: sperare e credere ancora nella bellezza del gioco. Abramo fu sepolto ad Hebron, che in ebraico significa “amico”, e nella sua azione di essere vivente cercò sempre di “convincere” il suo Dio, del quale era amico privilegiato, a tenere in considerazione l’esistenza degli innocenti, di coloro che ogni giorno si svegliano e tenacemente tengono lontana ogni ipotesi di “Apocalisse”. Andrea Belotti, più modestamente rispetto ad Abramo, può essere considerato un po’ il nostro Babbo Natale. Con la sua slitta e le sue renne, forse non potrà curare tutti i malanni del calcio e del Toro, ma sicuramente da una possibilità, per chi ha occhi per vedere e un cuore per sentire, di comprendere il vero senso di un dono. Belotti, con il suo modo di giocare e di impegnarsi nella tempesta, è come un monito e quasi una preghiera. La speranza è con lui e quindi con noi, poiché sta scritto: “la preghiera di un giusto ha una grande efficacia”. Da un umile stalla di Betlemme fino ad un campo di calcio. Buon Natale a tutti. Ma davvero di cuore.
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Scrittore, sceneggiatore e regista. Tifosissimo granata e già coautore con Anthony Weatherill della rubrica "Loquor" su Toro News, annovera tra le sue numerose opere e sceneggiature quella del film "Ora e per sempre", in memoria del Grande Torino.
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