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Romeo Anconetani, Costantino Rozzi, Massimo Moratti, Paolo Mantovani, non c’entrano più niente con il calcio di oggi, sono fotografie in bianco e nero sbiadite di uno sport che aveva altri interessi, altri obiettivi, e persino un’altra origine. Eh sì, perché nel cambiamento di Era il calcio si è accorto di dover riformulare un’altra origine, una nuova collocazione allergica ad andare alla deriva con tutto il novecento, abile nel ricongiungerla nuovamente nell’alveo della contemporaneità. Se prima si cercava la vittoria, caveat del suprematismo di una nazione o di una comunità (qualunque essa fosse), oggi si cercano margini su fatturati, seguendo la stella cometa della massimizzazione dei ricavi forieri di profitti. Il “player trading” è sicuramente una fonte di ricavi, ma è un tavolo rischioso, estremamente rischioso, per sceglierlo in qualità di unico tavolo da gioco. C’è bisogno d’altro e di più stabile, occorre la realizzazione tanto auspicata del calcio mutuato in impresa. Per quanto, da nostalgici, possa trovarci contrari, dobbiamo tenere a mente esempi storici come il vecchio west, quando la ferrovia mise definitivamente nel cassetto della storia passata i “trading post”, con tutto il loro mondo bucolico fatto di diligenze a cavallo che in essi trovavano ristoro per i viaggiatori e biada per i cavalli. Tutto ha assunto una complessità organizzativa e finanziaria totalmente sconosciuta e imprevedibile fino a solo una ventina d’anni fa, dove qualcuno deve aver considerato lo sport più seguito al mondo, specie dalle nostre parti, una specie di riserva indiana, principio e fine di ogni cosa immutabile per l’eternità. “Non c’è nulla di immutabile, tranne l’esigenza di cambiare”, scrive Eraclito, e la questione è così vera da rendere stupiti l’impermeabilità di alcuni presidenti di provare a capire quanto sta succedendo attorno a loro.
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Claudio Lotito e Urbano Cairo, ma sorprende più il secondo vista la sua veste di potente e prestigioso editore, non hanno ancora afferrato, dopo tanti anni di attività nel mondo del calcio, quello che i fratelli Hartono al Como e Bernard Arnault al Paris FC hanno capito quasi in un attimo. C’è un dettaglio ad accomunare queste persone tra le più ricche del mondo, ed è quello importante di aver ritenuto necessario di affidare la gestione full-time dei loro club a persone che se ne potessero occupare a tempo pieno, persone colte del campo dell’intrattenimento e con capacità di visione e conseguente azione. Questo perché il calcio contemporaneo non è questione da potersi gestire con approssimazione e velleitarismo, e soprattutto non a tempo perso. L’esperienza riuscita al Napoli di Aurelio De Laurentiis, ne è uno degli esempi più concreti. Il cinema non è più il “core business” della “Filmauro”, ma anzi esso è stato da tempo brutalmente soppiantato dal calcio. “O Presidente” non parla più di film, ma di gestione del suo club e del calcio in generale, e ha coinvolto in questa attività tutta la sua famiglia. Avere un bilancio senza debiti, con margini di profitto e con una riserva in bilancio notevole, è stata soltanto una piacevole e logica conseguenza. Al Como è Mirwan Suwarso il Sergio Marchionne degli Hartono, manager con una esperienza chilometrica nel settore sportivo e dell’intrattenimento. Gli Hartono al momento ricapitalizzano e investono, ma Suwarso ha dato loro una idea chiara del futuro, previsto di profitti ed eccellenti risultati sportivi. Insomma, sa di cosa parla quando prospetta iniziative presenti e future della società lariana. Bernard Arnault, nell’ambito di una operazione di sistema evidente (qualcuno, dalle parti della politica, deve avergli detto di entrare nel calcio, per salvare un po’ le sorti di una disastrata “Ligue 1”. I francesi sulle operazioni di sistema in Europa sono i numeri uno), ha preferito appoggiarsi, per la gestione del club, al collaudato sistema di marketing e di gestione sportiva della “Red Bull”, entrata nel club parigino con una quota del 10%.
Nell’era del calcio postmoderno ovviamente non si potevano dimenticare i tifosi, e non si poteva mettere completamente da parte il valore del senso di appartenenza. Perché se è vero che la gestione del Como miri a far interessare della squadra a chi della stessa squadra non importa niente a livello affettivo, c’è comunque un bisogno inderogabile di avere i tifosi, quelli veri, come partnership sottintesa del progetto. In questa convinzione si deve inquadrare l’iniziativa del Paris FC di destinare gratuitamente ai tifosi il 10% dei biglietti delle partite casalinghe, e quella di Suwarso di ipotizzare nel giro di tre anni l’ingresso gratuito nelle curve dello stadio dei lariani. Non si tratta di gesti romantici, ma di precise strategie aziendali miranti a non perdere il contatto con la fidelizzazione dei tifosi. È difficile dire se ciò che stanno facendo i due club sia giusto o sbagliato, di certo si sta provando a progettare il futuro che non può più essere uguale ad un passato colpevole di aver fatto sedere il calcio continentale, specie quello italiano, su una montagna di debiti. Il messaggio è che bisogna costruire del nuovo intorno al nuovo calcio, tenendo però presente come ogni realtà sia differente rispetto ad un’altra. Un nostalgico potrebbe però ammonire di fare attenzione a non lasciar disperdere identità, inclusione e passione. Il calcio senza queste cose potrebbe avviarsi verso una strada pericolosa da cui non potrebbe fare ritorno. Continuare però ad affrontarlo con un approccio da “Fiera dell’Est” di Angelo Branduardi, darebbe la stessa sensazione di scegliere di vivere in una capanna fatta di paglia e fieno affianco ai grattacieli di Manhattan.
Scrittore, sceneggiatore e regista. Tifosissimo granata e già coautore con il compianto Anthony Weatherill della rubrica “Loquor” su Toro News che in suo onore e ricordo continua a curare. Annovera, tra le sue numerose opere e sceneggiature, quella del film “Ora e per sempre”, in memoria del Grande Torino.
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