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Gigi Riva capì questo elementare concetto, ecco il motivo per cui si rifiutò di lasciare la Sardegna. Ma quello era il tempo sostanziato da gente capace di resistere al canto delle “sirene”, e di esempi di quel periodo di fedeltà alla maglia, concetto oggi quasi completamente sconosciuto, se ne potrebbero fare a iosa. Oggi il tempio non solo è stato profanato, ma gliene sono state cambiate le caratteristiche per esigenze di bilancio. Inutile girarci troppo attorno, il mercato calciatori è divenuto fonte di guadagno perpetuo per molte componenti del calcio, avide nel far lievitare i prezzi e nell’accaparrarsi così l’ingente liquidità immessa nel calcio europeo dagli arabi e dalle tv. Si è abolito il dogma della fedeltà alla maglia, e i calciatori, nonostante il sacrosanto giudizio a suo tempo a favore di Jean Marc Bosman, sono ritornati ad essere nella condizione di merce e di feticcio in cagione dei buoni andamenti dei bilanci. Sono i paradossi della storia, che a volte assurgono a commedia degli equivoci. La vera questione, forse, è la perdita del mito come riferimento di un amore, a causa della girandola di calciatori e allenatori che possono portare Antonio Conte a sedere prima sulla panchina dell’Inter e poi su quella del Napoli. “Non mi chiedete cose che non farò”, disse Antonio Conte all’inizio della sua avventura a Napoli, quasi imbarazzato con il microfono in mano mentre i tifosi napoletani cantavano il classico “chi non salta juventino è”. Siamo allo svilimento di ogni criterio di appartenenza e di rivalità calcistica, cosa che sta facendo perdere molto fascino al gioco più seguito al mondo. Conte è un fin troppo disinvolto mercenario, e va ad aggiungersi al paesaggio triste di allenatori di nazionali ridotti a macchietta quando si ritrovano a cantare un inno che non è il loro. Un Italiano accomodato sulla panchina inglese o ungherese è onestamente qualcosa da non potersi vedere, un “Rubicone” passato con tale stoltezza da rimanere attoniti oltre qualsiasi stupore. “Kvara” e Osimhen sono cresciuti in questo contesto senza lumi e senza ricordi del campetto sotto casa, dove la libera contrattazione ha come limite esclusivamente quello del non avere limiti. Il Napoli incasserà un notevole gruzzolo dalle loro cessioni, e i soldi giustificano tutto perché appaiono l’unico onore a cui non si può davvero rinunciare. Kvara si andrà quindi a seppellire nell’inutile campionato francese, che si gioca solo per permettere al Paris Saint Germain di vincere ogni volta la “Ligue 1”, in un torneo pensato per non permettere la caduta degli dei.
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Il mondo, si dice, oggi va così, e bisogna accettarlo per non apparire riottosi a mettersi al passo con i tempi. Un bel colore blu su gli utili netti della voce ricavi, e tutto il dolore per i bei andati oramai abbondantemente andati si lenisce o addirittura va via, come se quei bei tempi andati non fossero mai esistiti. Tutto rende immobili, un invito ad accettare il “panta rei” del denaro imposto dal neo liberismo, senza fiatare sulla reale consistenza del concreto che ci offre. Si continui a parlare di calcio ignorando il suo cambiamento o, al massimo, prenderne dolorosamente atto come un coro “euripideo” a cui rimane solo il compito di raccontare lo sgretolamento di un mondo contaminato dalla tracotanza dell’azione dello “hybris”. Raccontare, e niente di più. “Non fare nulla, ma che nulla non sia fatto”, viene in soccorso un’antica massima orientale, nel tentativo di smuovere da una pericolosa fase di stallo, di immobilità incomprensibile. I giocatori intenti a cambiare continuamente maglia, i presidenti che non volendosene andare violano il patto non scritto dei club di calcio come proprietà del popolo e non di un azionariato, la Fifa e l’Uefa autoproclamatesi garanti del gioco, i procuratori assurti a veri burattinai dietro tutte le vicende del calcio. Cosa può fare il tifoso di fronte a tale appropriazione indebita? Potrebbe, per esempio, dismettere i panni di spettatore assegnategli dalla postmodernità, e da quel momento ripartire alla conquista della sua vera identità, che non è quella del “consumatore”. Tutto il resto verrà da se, come una naturale conseguenza. Impegniamoci ad essere felici, tanto per l’infelicità non serve neanche che ci sia dia da fare.
Scrittore, sceneggiatore e regista. Tifosissimo granata e già coautore con il compianto Anthony Weatherill della rubrica “Loquor” su Toro News che in suo onore e ricordo continua a curare. Annovera, tra le sue numerose opere e sceneggiature, quella del film “Ora e per sempre”, in memoria del Grande Torino.
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