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La strategia dell’impunità a cui i giovani calciatori accedono ha varianti multiformi, come quando leggono di altri sport dove la colpa della positività al doping è quasi sempre di qualche massaggiatore maldestro e fisioterapista distratto. Il mondo circostante li educa così a gabbare chiunque o qualsiasi cosa, ad aggirare un mondo di regole fatte per essere esclusivamente scritte sulla carta. Sanno, gli sportivi, di essere protetti dall’amore cieco del tifoso e dall’interesse cinico del business. A vent’anni è davvero difficile notare la differenza tra il bene e il male, non c’è esistenzialismo e pensiero a sorreggere, ma unicamente una smodata voglia di consumare “esperienza”. “Andavo in un bar della zona di San Siro e versavo 25.000 euro ad un tizio di nome Tommy”, dice oggi il redento Sandro Tonali, e a colpire è proprio non porsi il problema dell’azione e delle sue possibili conseguenze, oltre a fare qualcosa di illecito con una persona praticamente sconosciuta. Nicolò Fagioli e Sandro Tonali faticano a rendersi conto dell’esistenza di una giustizia penale a cui rispondere, e sono davvero convinti come il conto pagato con la giustizia sportiva sia la foglia di fico in grado di poter coprire tutto. Qualcuno li ha persuasi sin dall’inizio della loro carriera che il calcio li avrebbe protetti da tutto, e ora cadono dalle nuvole quando leggono di un GIP e di una Guardia di Finanza operativi sui loro reati, che evidentemente hanno confuso per distorsioni psicologiche. I giovani calciatori fanno fatica a collocarsi nel mondo reale, e ritengono tutto inizi e finisca all’interno della bolla dello sport praticato. Forse hanno anche ragione a pensarla in questo modo, specie quando vedono una società di calcio, la Juventus, assumere un tecnico, Antonio Conte, ancora sotto squalifica per omessa denuncia per uno dei casi di calcio scommesse che regolarmente affliggono il nostro calcio. Il club bianconero non si era fatto scrupolo di ingaggiare un intero staff tecnico sotto squalifica, superando ogni senso del limite etico/morale, e dando un chiaro messaggio: ho bisogno di una cosa, e me la prendo in barba a qualsiasi giudizio mi possa arrivare. Sono lontani i tempi degli otto giocatori dei “Chicago White Sox”, squalificati a vita per aver accettato di aggiustare il risultato di una partita delle “World Series” del 1919. Le autorità del baseball non ebbero nessuna esitazione: per salvaguardare il buon nome dello sport più amato d’America bisognava dare una lezione esemplare, anche se vi era coinvolto “Shoeless” Joe Jackson, uno dei più grandi giocatori di sempre.
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Dovremmo avere la forza di guardare al passato per riscoprire la forza di una grande etica, unica forza in grado di intervenire nell’Occidente a contenere la sua volontà di potenza, che gli ha fatto smarrire ogni senso del limite. È agghiacciante non tanto vedere giovani ricchi e protetti cedere alla ludopatia, ma piuttosto vederli disinvolti nel condurre la gestione del loro vizio attraverso una gioielleria, secondo gli inquirenti usata come copertura di diversi tipi di illeciti. Perciò non siamo solo davanti a delle scommesse in siti illegali, ma anche al sostenere un mondo sommerso fatto di malaffare e riciclo di denaro. I giocatori e la loro enorme disponibilità finanziaria sono serviti anche e soprattutto a questo. “Collocati là dove sei, non oltrepassare la misura, perché altrimenti prepari la tua rovina”, dicevano gli antichi Greci, e Gesù nel “Vangelo” con la Parabola “Dei Talenti” riprende l’importanza del collocarsi in modo giusto nel mondo, senza aver paura di osare ma anche senza lo strafare derivante dall’ingordigia. Avere sempre di più e pensare sia lecito fare qualsiasi cosa, questo oggi il calcio insegna, e allora non ci si chiede come sia possibile che un broker possa promettere guadagni irrealistici da investimenti finanziari. Poi, però, arriva il giorno in cui la vita reale ti presenta il conto, e Marcello Lippi, Stephan El Shaarawy e Antonio Conte scoprono di essere stati truffati da un trader farlocco. Avere sempre di più in termini di guadagni ed emozioni, pare essere il lascito esistenziale dello sport contemporaneo. Bisogna fatturare e guadagnare ogni volta di più, ed in tale contesto appare perfettamente logico creare legami di sponsorizzazione tra club calcistici e agenzie di scommesse.
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Questo è ciò che vedono e respirano i nostri giovani calciatori. La supremazia della tecnica tanto temuta da Martin Heidegger gli ha regalato anche i “followers”, con uno smartphone sempre accesso a donargli costantemente devozioni da divinità. Si sono collocati nell’Olimpo, i nostri giovani calciatori. “Quando mi stavano portando in carcere-racconta Cristiano Doni-, per strada continuavo a pensare a mia figlia a scuola, era sempre stata orgogliosa di suo papà”. E ancora: “Prima volevo fare il dirigente dell’Atalanta. Oggi mi accontenterei di riuscire a vivere in pace nella mia città, Bergamo”. Sono, queste dell’ex calciatore, parole disperate di un troppo “dopo”, quando ormai tutto è franato e dolersi è facile come bere un bicchiere d’acqua. Il calcio che accetta il dominio della delinquenza delle curve, è il sintomo di una civiltà italiana che si è arresa. Non ci sono scuse o distinguo, come non ci sono per i giocatori che violano scientemente le regole. Occorre dirlo con chiarezza: in una società con il senso di sé, la delinquenza starebbe in galera e non a spadroneggiare nelle curve, e i giocatori colpevoli di gravi trasgressioni definitivamente fuori dal calcio. Una squalifica analoga al tempo di una rottura di un crociato fa solo sorridere, e conferma la cultura dell’impunità. Di fronte all’inerzia criminale prodotta dall’indifferenza, risuonano le parole dell’indovino Tiresia: “Tu hai occhi, ma non vedi il tuo male, né chi sei, né con chi vivi”. Pare l’epitaffio di questa contemporaneità ambigua e disperata.
Scrittore, sceneggiatore e regista. Tifosissimo granata e già coautore con il compianto Anthony Weatherill della rubrica “Loquor” su Toro News che in suo onore e ricordo continua a curare. Annovera, tra le sue numerose opere e sceneggiature, quella del film “Ora e per sempre”, in memoria del Grande Torino.
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