Non devono averla pensata così dalle parti di Wolverhampton (a proposito: in bocca a lupo al Toro per lo scontro contro i “lupi” delle West Midlands), quando nel 2016 si è deciso di vendere la proprietà del club a Fosun International, il più grande conglomerato privato della Cina continentale. Difficile comprendere come le visioni di una delle più potenti società del mondo, che ha fatto della diversificazione industriale e finanziaria la pietra miliare del suo agire, possano combaciare con quella di un club che fu nel 1888 uno dei club fondatori della Football League. Nel mondo della parete piena di ombre, ci si convince che ci si consegna ad un potere indefinito per tornare a vincere, o sperare di farlo. I tanti soldi sono ritenuti spesso la via più breve per trionfare, e se per questo stiamo imboccando una via di cui non si conosce la stazione finale d’arrivo, poco importa. Fa impressione(almeno a me lo ha fatto) come nella presentazione del prossimo incontro dei preliminari di Europa League tra Torino e Wolverhampton praticamente nessuno si sia soffermato sul fatto che si stanno per sfidare due compagini ricche di storia, e di tanto significato per il football. Le vicende del Torino e del Wolverhampton sono tra i motivi per cui da generazioni le persone si tramandano l’amore per il calcio. Invece tutti lì a raccontare in modo ossessivo la differenza dei fatturati, sia in termine di gestione societaria che di campagna acquisti, esistente tra i due club. E’ la distruzione della “storia” che sta avvenendo sotto i nostri occhi, e davanti alla parete dove si proiettano ombre non solo ciò sembra plausibile, ma anche assolutamente accettabile.
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La partita tra i Wolves e i Granata sarebbe stata, e potrebbe ancora essere, un’ottima occasione per far conoscere alle nuove generazioni le genesi e gli epici aneddoti di questi due club. Con quanta facilità e superficialità si disperde patrimonio. Ma qualcuno, per fortuna, ha deciso di abbandonare le ombre della parete della caverna, per guardare le cose con la luce del sole. I tifosi dell’Union Berlin, quelli che nel 2008 avevano finanziato la ristrutturazione del loro stadio donando il sangue per dieci euro e lavorando gratis con carriole e cemento, si sono presentati alla loro prima partita in Bundesliga della loro storia con dei cartoncini con su stampate le foto dei loro famigliari scomparsi: “ loro non hanno fatto in tempo a vederlo questo giorno. Ma oggi dovevano essere qui insieme a noi”. I tifosi dell’Union si ritengono davvero una famiglia e il loro stadio si chiama “La Vecchia Foresteria”, perché la squadra per queste persone è il simbolo e il ritrovo di una comunità. Da qui la loro decisione, per protestare contro la logica da multinazionale della RedBull, di restare in silenzio i primi quindici minuti della partita contro il RedBull Lipsia. Alla fine lo Union ha perso 4 a 0, ma quei tifosi con le foto dei loro cari rivolte verso il cielo e il loro silenzio di protesta, ci hanno insegnato come le ombre della parete sulla caverna non siano il nostro unico orizzonte. Ci hanno ricordato come vincere non sia tutto, e come la tradizione non sia solo forma, ma la fondamentale anima di cui si nutre la storia del calcio. Perché, come qualcuno ha scritto, “la tradizione non consiste nel conservare le ceneri ma nel mantenere viva una fiamma”. Prosit, carissimo Platone.
(ha collaborato Carmelo Pennisi)
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