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Ma proviamo ora a prendere in esame anche l’altro scenario, e cioè che non sono gli Agnelli ad impedire qualcosa nel mondo Toro, ma piuttosto il non paventato volere, da parte di Urbano Cairo, di cercare un acquirente per la società granata più voglioso e creso. Si è detto come secondo alcuni il Toro sia un buon business, e come quindi avrebbe mercato (tradotto: un possibile acquirente). Ma è proprio così? Personalmente, come i lettori sanno, sono convinto del grande valore della storia del Torino, e sono altresì convinto come i granata siano una delle poche società calcistiche italiane conosciute nel mondo. Ma questa conoscenza, a causa di gestioni dissennate a partire dalla metà degli anni 90, si sta costantemente sbiadendo. In Italia i tifosi di quella che è la squadra simbolo dell’Italia migliore, quella della rinascita del dopoguerra, stanno diminuendo. Non c’è più narrazione credibile attorno al Toro, e se non c’è narrazione non c’è nascita di un desiderio. Lo si nota oggi, tristemente, anche con il Milan. La narrazione, nel calcio, è una pianta che va irrorata continuamente. Non è un problema di vittorie, ma di contenuti. E’ di questo che la pianta/narrazione del calcio va irrorata. È tutta colpa di Cairo? È tutta colpa del potere degli Agnelli? Diciamo che forse esiste un concorso di colpa, di un modus operandi colpevole di una distruzione progressiva della vitalità e della storia antropologica del calcio italiano. Urbano Cairo, a mio modesto parere, ha due sole strade da imboccare da imprenditore, se è solo il business ad interessarlo. O rivaluta la storia e i contenuti del Toro (quindi aumentando il valore della società per renderla visibile e vendibile al miglior offerente), o decide che il Toro è un buon business da tenersi e abbisogna di migliorie nella struttura societaria e nei risultati sportivi. Non sarà la Juventus ad impedirglielo, perché in tutta evidenza, penalizzando scorrettamente tutto il movimento calcistico italiano, essa ha raggiunto il suo obiettivo di essere diventata una “primus inter pares” del calcio mondiale. La società bianconera è il Ketchup di Heinz ormai dominante su tutti i banconi della catena calcistica del mondo. Cairo, a mio avviso, se vuole ha campo libero per tutte le ambizioni sportive desiderate per un modello di business vincente. Non condanni, il patron del Corriere della Sera, il Torino Calcio all’indifferenza. Sopravvivere, non è vivere. Sopravvivere non è sport. Sopravvivere, per il Toro, vorrebbe dire rivivere un’altra Superga. Nella vita le persone hanno due sole possibilità, come ricorda Vladimir S. Solovyov: “l’uomo non potrà mai essere uguale ad un animale: o si eleva e diventa migliore, o sprofonda in basso e diventa molto peggiore”. E’ determinare un valore, quel che conta. Forse è questo che Urbano Cairo ha dimenticato nelle vicende del Torino FC. Si trovi un rimedio, prima che sia troppo tardi.
(ha collaborato Carmelo Pennisi)
Anthony Weatherhill, originario di Manchester e nipote dello storico coach Matt Busby, si occupa da tempo di politica sportiva. E’ il vero ideatore della Tessera del Tifoso, poi arrivata in Italia sulla base di tutt’altri presupposti e intendimenti.
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