A dire il vero, se si vuole essere onesti e corretti, il buon giornalismo dovrebbe essere sempre capace di resistere alla tentazione di perdersi in uno “story telling”. Compito del cronista è informare, raccontare al lettore anche qualcosa di cui non vorrebbe sentir parlare. Perché dovere del giornalismo e fare “revisionismo” continuo dei fatti, che non sempre esprimono la chiarezza della verità, ma sovente rivelano solo una percezione. Un giornalista, di fronte alla denuncia di Fabio Duranti, ha due sole ipotesi da verificare, per ottemperare al suo servizio esclusivo verso il lettore: o Duranti ha ragione o ha torto. O ha detto il vero, o ha detto il falso. O Lewis Hamilton ha visto il pubblico con le mascherine a coprirsi il volto, o non lo ha visto. Tertium non datur. L’unica cosa che la stampa non dovrebbe fare è permettere il permanere del silenzio, l’unico compito a cui non dovrebbe derogare è l’essere il cane da guardia della gente. Invece nella gestione dell’informazione sul Covid sembra essere passato un unico punto di vista, che ha generato nella pubblica opinione un solo sguardo sulla realtà. E il passo di far diventare un punto di vista la verità è stato breve. Per quale motivo ciò è stato fatto saranno gli storici a stabilirlo, quando tra la gente l’emotività e la paura rispetto al Covid saranno scomparsi, e si sarà recuperata un po’ di serenità. Quel giorno, al quale probabilmente io non assisterò, sono certo dell’emergere di qualche sorpresa, e forse potrà essere un utile monito per i nostri posteri.
Per il momento non si smetta di ragionare sul ruolo che l’informazione deve avere nelle nostre vite, perché per deliberare ogni nostra decisione o elaborare ogni nostro convincimento abbiamo bisogno di avere davanti uno scenario perlomeno somigliante a qualcosa di vero. Dobbiamo sempre ricordare come oggi la realtà sia complessa e interconnessa, ed evitare così la tentazione di essere lapidari. E tenere sempre presente l’esistenza dei fini, che sono umani nell’agire delle persone. Un importante vicedirettore di un importante quotidiano, tempo fa confidò in un’intervista di non aver voluto scrivere un articolo sulla mortalità infantile in Grecia causata dalla terribile crisi economica, nonostante i dati drammatici in suo possesso. “Non ho scritto l’articolo - ha detto l’importante e bravo giornalista - per non essere strumentalizzato dagli anti europei e ostracizzato dagli altri”. Sono certo del travaglio interiore sincero del giornalista in questione, ma questa vicenda, e quella di Sochi, ancora una volta mettono a nudo alcune criticità del mondo dell’informazione. Cosa devono fare i giornalisti in momenti di estrema gravità? Devono censurarsi in nome di una loro visione soggettiva del bene pubblico? Lascio al lettore l’elaborazione di una risposta quanto mai necessaria. Perché nei prossimi mesi, causa Covid e grave crisi economica, molte saranno le scelte delicate che l’Italia sarà chiamata a compiere. Avere una stampa lucida e conscia del suo ruolo sarà quanto mai necessario. “Quid est veritas” (“che cosa è la verità”), disse Ponzio Pilato durante l’interrogatorio a Gesù, e mai come oggi la società contemporanea ha l’urgenza di rispondere al quesito sorto nella mente del funzionario dell’Imperatore Tiberio di fronte ad uno dei più grandi misteri della storia.
Anthony Weatherhill, originario di Manchester e nipote dello storico coach Matt Busby, si occupa da tempo di politica sportiva. E’ il vero ideatore della Tessera del Tifoso, poi arrivata in Italia sulla base di tutt’altri presupposti e intendimenti.
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