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Molti italiani comprenderanno questa fondamentale verità tra qualche mese, allorché la crisi economica si abbatterà su di loro con una violenza come nessun italiano ha mai visto dall’unità ad oggi. Quel giorno, la facile retorica del presidente del Coni scagliata contro il mondo del calcio preoccupato incoscientemente, a suo dire, dal voler riprendere il prima possibile i propri campionati, si sgretolerà di fronte al franare economico di svariati club calcistici. Il fatto come in questo momento non si possa parlare della questione economica, senza essere prontamente additati come una sorta di criminale della salute pubblica o di menefreghismo di decesso altrui, è frutto di una massiccia campagna stampa tesa a convincere gli italiani del loro sacro dovere di restare tappati in casa. Teorema dal quale ormai non si può derogare, perché il “Grande Fratello” ha stabilito che così va fatto. Le partite Iva non sanno più come mettere qualcosa a tavola per le loro famiglie? Non importa. Numerose piccole/medie imprese sono fallite o stanno per fallire? Non importa. Il sistema delle pensioni è fortemente a rischio, a causa di mancato gettito? Non importa. Numerosi cittadini non hanno più i soldi per curarsi? Non importa. La crisi economica procurerà molti più morti, per varie ragioni, del Covid-19? Non importa. Non si può mettere in discussione niente dei decreti legati al “io resto a casa”, perché altrimenti, secondo alcuni, si manca di rispetto ai ventimila morti. Quindi Gabriele Gravina, al quale non ho mai risparmiato critiche, dovrebbe rimanere seduto e zitto, in attesa che il virus, per magia, faccia la sua scomparsa. E serve a poco, in un clima di isteria generale, ricordare come il virus non sparirà per incanto e come nel calcio non lavori solo Cristiano Ronaldo, ma anche l’umile magazziniere o il giardiniere con i loro modesti stipendi, spesso unico sostentamento per la famiglia.
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Un mio amico, nonostante abbia studiato per tutta la vita il nazismo e i suoi epifenomeni, non riesce a capacitarsi come una delle nazioni più acculturate del mondo abbia potuto identificarsi in poco tempo nei concetti di Alfred Rosenberg e Adolf Hitler. Secondo Gustave Le Bonne, autore del celebre saggio “Psicologia delle Folle”, un agglomerato di persone è sempre geneticamente predisposto a lasciarsi suggestionare da parole, formule e immagini estremamente semplificate. Slegate da ogni ragionamento e da ogni prova l’importante è solo ripeterle ossessivamente, e il gioco è fatto. Autorevoli studi testimoniano come ci vollero vent’anni per “denazificare” la Germania, assolutamente restia a fare i conti con il proprio passato. Perché credere per anni a frasi tipo “la nazione, o meglio, la razza non consiste nella lingua, ma solo nel sangue”, non è cosa che si possa dimenticare in poco tempo, nemmeno di fronte ad una cruda verità fattuale. Perdere la libertà e l’autonomia di giudizio può essere questione di poco tempo e facile, recuperarle può essere qualcosa di lungo e molto doloroso. La libera stampa ha il dovere di ricordarlo ogni momento, anche se ascoltare questo può far male alle orecchie e alla mente dei suoi fruitori. Anche se la paura di morire pare aver preso il sopravvento su qualsiasi cosa. La colpa grave di tutta la classe dirigente italiana, è di aver accettato di “spegnere” il lavoro in Italia, senza minimamente pensare a come il Paese sarebbe dovuto poi ripartire. Si può pensare al prima senza pensare anche al dopo? Bene quindi fanno ora i Gravina, gli industriali, gli artigiani, le partite Iva a porsi il problema della ripartenza e del lavoro. I morti per il Covid sono stati soprattutto gli anziani, cioè parte di coloro che avevano reso ricca e forte l’Italia. Non è stando chiusi ostinatamente in casa che renderemo onore alla loro memoria, piuttosto è cercando in ogni modo di salvare ciò da loro costruito. Alla mia età e con la mia situazione di salute, amare l’Italia è una delle poche certezze ad essermi rimaste. Lo devo a mia madre, lo devo a me stesso, lo devo a tutte quelle persone che verranno dopo di me. Ma questo semplice concetto, il miserabile di cui sopra, non potrà davvero mai capirlo.
(ha collaborato Carmelo Pennisi)
Anthony Weatherhill, originario di Manchester e nipote dello storico coach Matt Busby, si occupa da tempo di politica sportiva. E’ il vero ideatore della Tessera del Tifoso, poi arrivata in Italia sulla base di tutt’altri presupposti e intendimenti.
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