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Presi da un orgasmo infantile vogliamo che gli altri ci paghino il giochino sport, fatto lievitare nei costi da una elite senza scrupoli lesta nell’arraffare quanto più possibile dai forzieri arabi messi a disposizione di un disegno geopolitico di cui a noi contemporanei importa meno di un fico. Blateriamo di società laica quando si tratta di questioni cristiane, e poi nel 2034 il calcio si dovrà piegare alle esigenze del “Ramadan” che a quell’epoca comincerà l’undici novembre, e la qual cosa procurerà importanti ripercussioni sul calendario della manifestazione iridata. I soldi, quando sono tanti, riescono a mettere in sospensione laicismi e “wokismi” vari, e facciamo finta di non accorgerci di quanto si sia in vendita molto di più della più cinica meretrice di un postribolo. Ma la copia senza capelli di “Mr Bean” intanto siede felice alla cassa, e come un qualunque “Zio Paperone” dei tempi moderni apre bocca solo per comunicare quanto siano sempre più fiorenti gli introiti del calcio mondiale. In fondo il mitico Gordon Gekko lo ha detto nel celebre film “Wall Street” di Oliver Stone: “la cosa più importante è il denaro, tutto il resto è conversazione”. Nel mentre rifiutiamo di guardarci nella nostra oscurità, e come dannati incartapecoriti di qualche girone infernale descritto da Dante Alighieri nella “Divina Commedia”, vogliamo che gli arabi acquistino qualche nostro club. Non vediamo l’ora che lo facciano, incuranti del fatto che non esistono pasti gratis in questa vita, e prima o poi bisogna passare alla cassa per pagare con qualcosa di nostro. Siamo nel sottosuolo di Dostoevskij, vili, rancorosi e depravati, impossibilitati ad avere qualsiasi possibilità di redenzione. “Senza dubbio c’è una forma di senso di colpa occidentale, di volontà di scomparire, di pulsione suicida”, ha dichiarato di recente Michel Houellebecq al “Corriere della Sera”, e nell’appropriazione del calcio da parte degli arabi e, nel caso italiano, dei fondi speculativi americani di medio livello, è facile notare, per chi vuol realmente vedere l’evoluzione dello stato delle cose, la depravazione incline a favorire proprio tale propensione suicida. Forse siamo fortunati dalle nostre parti dato che almeno gli arabi, a meno che non serva per appropriarsi di qualcosa di molto importante, non avranno mai interesse ad accollarsi la proprietà di un club italiano. Bisogna essere grati alla sorte quando la depravazione diventata per noi ingestibile, viene controllata da qualcosa al di fuori delle nostre possibilità. La depravazione è la versione più sordida del nichilismo, e sopraggiunge quando si crea la convinzione di non avere più vie d’uscita rispetto a provare ad avere una vita più decente.
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Diveniamo così una ridotta del sottosuolo, e in questa condizione siamo disposti a qualsiasi trattamento pur di continuare a sopravvivere. La ragione smette di funzionare, perché la depravazione non ha bisogno di logica ma solo di istinti da soddisfare. Allora si arriva a credere come sia un investimento il detenere il 15% di un club calcistico, quando invece si è davanti ad una profilassi da faccendieri. C’è depravazione, c’è ignoranza, c’è paura nel sottosuolo, e chi ha la fortuna di camminarvi sopra ciò lo sa bene e facilmente se ne approfitta. C’è una burla drammatica alla fine di tutti questi investimenti arabi nello sport, una visione che da qui a venti/trent’anni procurerà sconvolgimenti importanti nel Vecchio Continente. Basterebbe sfogliare qualche pagina dei “Racconti delle Mille e Una notte” accoppiate a qualche rudimento dell’Islam, per capire a chi e a cosa ci si sta consegnando. Stiamo lasciando una eredità pesante a chi verrà dopo di noi, e probabilmente i nostri figli e i nostri nipoti ci malediranno. Ma di quest’ultima cosa, sorprendentemente, pare non importarci molto. Un saluto dal sottosuolo.
Scrittore, sceneggiatore e regista. Tifosissimo granata e già coautore con il compianto Anthony Weatherill della rubrica “Loquor” su Toro News che in suo onore e ricordo continua a curare. Annovera, tra le sue numerose opere e sceneggiature, quella del film “Ora e per sempre”, in memoria del Grande Torino.
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