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Nei cartoni animati i personaggi corrono oltre il burrone finché non guardano giù. “Mia madre-recita una battuta di un celebre film - diceva sempre che il segreto della vita è riuscire a non guardare in basso”; sì, caro Ciccio, uno dei segreti della vita risiede proprio nel confrontarsi con “l’alto”, non nell’adagiarsi nel “finché la barca và, lasciala andare”. Il calcio, lo si è detto in questi anni fino allo sfinimento, è un modo anomalo di fare impresa, perché questa rappresenta un “azionariato popolare di sentimenti” che rende il tifoso proprietario del suo club seppur giuridicamente non ne possegga un’azione. La quota di diritti tv ricevuta ogni anno dai club, sono la diretta conseguenza di “questo azionariato dei sentimenti” già persuaso della qualità del “prodotto” a prescindere dall’agire dei proprietari giuridici dei club stessi. Inoltre una società di calcio, in quanto frutto di una “storia sociale” condivisa trasversalmente da ogni classe, è da considerarsi a tutti gli effetti un bene comune, un qualcosa da potersi considerare nella disponibilità di una proprietà fino ad un certo punto.
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Decade quindi il concetto di Graziani che “nessuno può obbligare Cairo a vendere il club” in base ad un banale principio di “diritto di proprietà”. Non sono, questi, barlumi di lana caprina, ma sono modalità etico/morali/esistenziali alla base del successo storico di questo straordinario gioco. Escludendo cose come la buona fede, di cui non mi permetto di disquisire o dubitare, allora perché si dovrebbe chiedere ad Urbano Cairo di farsi da parte? Direi per incapacità manifesta nella gestione sportiva del club e nel cercare di aumentare i ricavi attraverso una strategia societaria di valorizzazione sul mercato del marchio, e anche per un sostanziale agire nell’improvvisazione del caso nel “player trading”. In parole povere l’editore alessandrino è sicuramente bravo a gestire quel poco che ha(in questo è, a mio parere, il numero uno), ma non è assolutamente in grado di aumentare quel poco in qualcosa di più. Basta a Graziani come motivazione per chiedere a Cairo di farsi da parte e mettere ufficialmente in vendita il club? Sul serio dobbiamo non andare più allo stadio o non fare più abbonamenti a Dazn per costringerlo a prendere in esame l’ipotesi cessione?
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Il dato, statisticamente molto rilevante, di diecimila tifosi a marciare per le vie di Torino non basta per far capire come un filo si sia rotto oramai da tanto tempo? Il “diritto di proprietà” si annulla con l’esproprio quando in gioco c’è il bene comune, appunto perché tale diritto non può prevalere sulle ragioni di una comunità. Forse, in nome del passato in Granata, Graziani avrebbe dovuto approfittare dell’intervista di Calderoni per cercare di fare capire al patron del Toro le ragioni del calcio. Forse non sarebbe concretamente servito a niente, ma a volte è importante parlare in nome di verità incontrovertibili, poiché si lasciano tracce di speranza. Hai scelto, caro Ciccio, di dare un colpo al cerchio e uno alla botte, una cosa non proprio da uomo di sport. La buona sorte, attraverso un’ottima partenza in campionato e l’aver trovato nel mazzo un allenatore rivelazione di spessore umano/tecnico altissimo, per ora sta dando una ennesima occasione a Cairo di far cambiare idea al mondo Toro sulla sua persona. Il calcio offre continuamente occasione di redenzione e di opportunità, essendo uno degli storytelling fiabeschi più riusciti della modernità, ma si stia sempre attenti ad una interessante riflessione di Paulo Coelho: “in ogni istante della nostra vita abbiamo un piede nella favola e l’altro nell’abisso”. L’abisso non prevalga.
Scrittore, sceneggiatore e regista. Tifosissimo granata e già coautore con il compianto Anthony Weatherill della rubrica “Loquor” su Toro News che in suo onore e ricordo continua a curare. Annovera, tra le sue numerose opere e sceneggiature, quella del film “Ora e per sempre”, in memoria del Grande Torino.
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