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Stadio vuoto, stadio pieno, calcio al tempo dell’acufene
“Lo stadio lo riempiono
con i tifosi della altre”
Andrea Pavan
Che differenza c’è essere considerati degli acufene o essere pagati per fare i tifosi in una partita di una squadra messa su artificialmente grazie ad una grande disponibilità finanziaria? Come si fa a lavorare per una squadra stravolta completamente dal denaro senza fine del fondo sovrano del Qatar? Che senso ha un “Pallone d’Oro” che, secondo l’opinione di molti esperti, è assegnato non al talento, non alle prestazioni, ma al potere di un club? “La vendita comincia quando il cliente dice no”, recita un celebra aforisma motivazionale coniato per giovani venditori, e la cosa svela come tutto nella vita sia fatto per ottenere controllo, e in conseguenza potere. Ci ostiniamo a chiamare calcio qualcosa che non è più calcio, e non lo è più perché è diventato facile farne una copia da falsario, che compriamo perché non ci importa più essere chiamati complici. Ignorato dai miliardari italiani contemporanei, forse perché non è più un fenomeno sociale da mostrare come fiore all’occhiello ma semplicemente un business di piccolo cabotaggio sovente in perdita, il calcio italiano soffre di ricordi che non riescono più ad essere premesse di futuro. La gente lo ama ancora, anche se sempre di meno, ma tutto sa di spettacolo stantio, e nemmeno dei migliori. Il calcio arricchisce i suoi protagonisti, però non da più nessuna prospettiva all’interesse del benessere sociale generale, estraniato completamente dal racconto che si fa leggenda.
Nella società occidentale degli standard e dove tutto è divenuto “liquido”, il calcio è abbandonato a se stesso di fronte agli interessi di piccolo cabotaggio e non riesce ad essere unito nemmeno rispetto ad una grande tematica planetaria come la guerra. Quindi si assiste ad una Uefa che vorrebbe escludere Israele dalle competizioni internazionali, ed ad una Fifa che tituba perché Gianni Infantino non vorrebbe turbare gli interessi di Donald Trump, suo nuovo amico. L’America è dove ci sono i soldi, i tanti soldi, e il “Mr Bean” del pallone planetario ne vuole sempre di più per arricchire i protagonisti, che non sono solo i giocatori, del gioco più seguito al mondo. In questo stato anomico dove il business ha sostituito la mitologia e il sacro, il presidente del Torino Urbano Cairo ha prima origliato nell’assurdo e poi lo ha trasferito in una risposta che ha scavallato la decenza in un modo che non sembrava possibile: le contestazioni dei tifosi lui li vive come un acufene, praticamente un fastidioso rumore di fondo delle sue laboriose giornate, evidentemente entusiasmate dalle sue avventure editoriali. Non si era mai visto un presidente di una squadra di calcio dare dei fastidiosi ai suoi tifosi, come non si era mai visto un giornale, in questo caso “Tuttosport”, invitare, attraverso uno dei suoi più importanti editorialisti (Andrea Pavan), i supporter Granata a disertare lo stadio come ultimo ed estremo gesto disperato per convincere Cairo o ad invertire di suo le sorti sportive del Toro, oppure a prendere la decisione di passare la mano. Siamo giunti a questo punto nel mondopallonaro del tutto impazzito, ovvero a costringere un giornale sportivo a fare un qualcosa contro i suoi interessi, considerato come esso può vivere e prosperare solo grazie alla partecipazione delle persone all’evento agonistico. La qual cosa ricorda il suicidio dello scrittore giapponese Yukio Mishima, icona assoluta della letteratura del Paese del Sol Levante, attraverso il rituale Samurai del “seppuku”. Leggi l’editoriale di Pavan, e capisci cosa è stato fatto ad ogni tifoso del Toro dal 2005 ad oggi: come ne “La Decomposizione dell’Angelo” di Mishima, ogni illusione si è decomposta nella disillusione, ed è rimasto il dolore. Bisognerebbe stare in guardia dalle illusioni, considerato quanto siano capaci di corrodere ogni approccio mentale verso il reale, facendoci confondere su cosa sia vero e cosa sia cartapesta. In tale contesto capita che gli arabi mettano su una squadra da finzione cinematografica, e la collochino in una città di fondazione del futuro ancora da costruire, da essere vita, da essere memoria per qualcuno o qualcosa. Neom sarà una città supertecnologica e “decarbonizzata”, per un costo finale, compreso accessori e ammennicoli, di 500 miliardi di dollari. E’ stato previsto di tutto in questo insediamento, che non sarà né orizzontale né circolare, ma lineare in modo da creare un orizzonte infinito da qualsiasi punto la si guardi. Una cosa così entro il 2030 vorrebbe stupire il mondo, che converrà in Arabia Saudita per i Giochi Asiatici Invernali del 2029, l’Esposizione Universale del 2030 e la Coppa del Mondo di Calcio nel 2034. E mentre si sogna in grande, intanto bisogna fare con quello che non c’è, per cui il “Neom Sports Club” più che una squadra di calcio sembra una dichiarazione di ottimismo della volontà. Ha sì uno stadio, ovviamente non a Neom ma a Tabuk, capiente fino a dodicimila spettatori, ma quasi sempre vuoto. Sì, ci sono mondi dove uno stadio vuoto è promessa di un desiderio futuro, non il sintomo di una contestazione. Così si legge in un articolo a commento di tale vuoto: “il rischio di una squadra di plastica è concreto, ma questo non sembra preoccupare più di tanto gli appassionati sauditi, comprensibilmente meno attenti di noi europei a certe questioni di etica sportiva”. Eh già, si nota una mancanza di etica e la si rubrica alla stessa stregua di un dettaglio senza importanza, la si accetta comunque nello sport, che dovrebbe essere sinonimo principe dell’etica. L’acufene di Cairo parte da questa indifferenza interessata, catalogata nella lista delle necessità al fine di avere un futuro radioso. Il calcio, a Ryad e dintorni, è praticamente tutto finanziato e controllato dal governo saudita, in una sorta di curiosa riedizione del sistema sportivo in vigore nei Paesi comunisti dell’est Europa della seconda metà del Novecento. Però, come detto, mancano i tifosi, quindi si è stati costretti ad essere creativi, come raccontato in un divertente articolo de “L’Equipe”. Lo stadio vuoto oggettivamente non è una cosa bella a vedersi, e allora il club della città che ancora non c’è, ha deciso di pagare alcune persone, pare in maggioranza non di origine saudita, per raccogliere un migliaio di persone a fare da supporter. Sorvegliati da un centinaio di steward, e questa a mio parere è la cosa più comica della vicenda, sono stati forniti di tamburi e fischietti e pare facciano un fracasso infernale per tutta la partita. “Perfettamente in parte”, avrebbe detto un mio amico regista. Il compenso di 11 euro a partita, prevede anche un possibile abbraccio collettivo con il giocatore che ha appena segnato il gol. Tutto ricorda tremendamente la trama del delizioso film “Wag The Dog”(“Sesso e Potere”, sul mercato italiano) di Barry Levinson, doveviene inventata di sana pianta una possibile guerra(assolutamente virtuale) tra Stati Uniti e Albania per ragioni di interesse di potere. La stampa descritta dalla sceneggiatura di David Mamet, è inconsapevole ostaggio della realtà virtuale messa in piedi da Robert De Niro e Dustin Hoffman. Esilarante è il girovagare del cronista tra i negozi sportivi di Tobuk, nel tentativo di poter comprare una maglia ufficiale del Neom SC: “stiamo aspettando, li abbiamo chiamati ma ci hanno detto che non sono ancora pronti”, racconta un commesso. Ci manca solo la comparsa di “Bombolo” con la sua voce stentorea: “Neom! Neom!”, e poi il clima surreale del calcio contemporaneo si andrebbe a comporre con incastri perfetti. I tifosi/figuranti vengono ad ogni partita accompagnati, in aulica fila indiana, da agenti di sicurezza nel settore della curva dello stadio. La curva si chiama “Kop”, proprio come quella di “Anfield Road”, la casa del Liverpool. C’è anche questo nel mondo del calcio ormai estraniato dalla sua storia, dove tutto è mistificazione, denaro e parodia, in cui i frequenti tira e molla verbali di Urbano Cairo ben vi si acquartierano. A volte non ce la si può proprio fare. Immagino Andrea Pavan davanti al suo computer nella redazione di “Tuttosport”, preso dal dubbio amletico se scrivere o non scrivere un pensiero drammatico. Poi digita: “alla gente del Toro resta forse una strada non ancora percorsa: lasciare lo stadio vuoto”. Si sarà lasciato andare con le spalle sulla sedia, e si sarà detto: “cazzo, l’ho scritto”. E dopo aver fatto il suo “seppuku” da samurai Granata, potrebbe non aver pensato alla soluzione araba a disposizione di Cairo: assumere tifosi, l’ultima frontiera. “Senza Via di Scampo”, era il titolo di un adrenalinico bel film con Kevin Costner protagonista. Ci sta, e che Mishima, pace all’anima sua, si fotta.
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