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Il secondo punto invece mi sta più a cuore perché da un lato mi spiace a livello umano constatare che spesso i giovani calciatori vedono bruciati anni di sacrifici per arrivare a coronare il sogno di giocare a pallone ad alto livello perché sono mal gestiti dalle società che ne possiedono il cartellino, dall'altro perché mi fa rabbia, come tifoso, pensare che la mia squadra, il Toro, abbia gettato alle ortiche decine di investimenti su giovani talentuosi lasciati poi andare senza provare realmente a farli esplodere. La sensazione che se ne ricava è quella di una macelleria in cui vengano triturati gli scarti e solo pochi "pezzi buoni" escano fuori. Che debba esistere una sorta di selezione naturale che scremi i calciatori professionisti, questo è fuor di dubbio: il calcio di alto livello ha posti limitati, è un dato di fatto, solo in pochi possono arrivare stabilmente a inserirsi in squadre di A e B e spesso la carriera di un calciatore ha alti e bassi (oltre a mille sliding doors legate a molteplici fattori quali infortuni, episodi di gioco, avvenimenti nella vita privata, ecc.) come potrebbe essere nel caso specifico di Sadiq che magari in questo momento sta vivendo uno dei suoi picchi. Il punto, però, secondo me è un altro: le società spendono svariati milioni di euro all'anno in emolumenti ai propri calciatori, nonché investono altrettanti milioni di euro in quello che ormai si definisce nel linguaggio tecnico il "player trading", perché non pensano quindi di investire anche qualche decina di migliaia di euro in professionisti che possano seguire i propri tesserati?
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Non sto parlando di allenatori o collaboratori che invece abbondano negli staff tecnici, ma di psicologi, mental coach, nutrizionisti e anche addetti alla sicurezza che ogni società professionistica dovrebbe avere per stare vicino e per tutelare i propri calciatori, soprattutto quelli più giovani. Il mondo del calcio è pieno di storie di talenti che si sono "sprecati", in parte perché gestiti male dagli allenatori in campo, ma nella stragrande maggioranza perché assolutamente non gestiti fuori dal campo! Per fare un esempio che riguardi la realtà del Torino, a me fa rabbia pensare che un talento come Boyè sia in giro per inutili prestiti quando probabilmente se gestito meglio a 360 gradi avrebbe potuto essere utile oggi a Longo. Ora, è chiaro che i calciatori hanno il sacrosanto diritto alla loro privacy nella vita privata, ci mancherebbe, ma quello che voglio dire è che spesso parliamo di giovani che vivono lontani dalle famiglie, con tanti soldi in tasca e con la difficoltà di fare un mestiere che mette addosso forte pressione mediatica e una continua ossessione della ricerca della prestazione. È un controsenso che le società investano milioni di euro in questi ragazzi e poi non pensino di aggiungerne altri 30-40 mila per affiancargli professionisti che sappiano coglierne i disagi per aiutarli a rendere mentalmente al meglio sul rettangolo di gioco. Spesso si dice che la testa fa la differenza nella carriera di un calciatore e se i procuratori, che sono le figure più vicine a questi ragazzi, tranne rare eccezioni, non sanno aiutarli sotto questo aspetto perché non lo fanno allora i propri datori di lavoro, cioè le società? Se non per filantropia o per dovere morale, sono sicuro che avrebbero milioni di (euro) motivi per pensarci seriamente e chiudere un bel po' di queste macellerie.
Da tempo opinionista di Toro News, do voce al tifoso della porta accanto che c’è in ognuno di noi. Laureato in Economia, scrivere è sempre stata la mia passione anche se non è mai diventato il mio lavoro. Tifoso del Toro fino al midollo, ottimista ad oltranza, nella vita meglio un tackle di un colpo di tacco. Motto: non è finita finchè non è finita.
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