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Non si può far guerra alla storia senza conoscere la storia, anche perché non sei negli Stati Uniti che del suo essere senza storia ne ha fatto vessillo esistenziale. “Panta Rei”, tutto scorre e tutto si deve essere disponibili a cambiare, a modernizzare, a corrompere, non per un futuro migliore, ma per un futuro da vendere con più facilità e con più profitto. Non è questione di giusto o sbagliato: gli americani sono così. Prima ti propagandano in maniera martellante un concetto di bene e te lo fanno accettare come obiettivo, poi stravolgono tutti i punti cardinali della tua vita come un caterpillar per far trionfare quel concetto. Tanto tu da tempo ti sei già arreso. Ma giunge un momento in cui la storia ti punisce, mettendoti ancora una volta nella condizione di prendere atto che la “Torre di Babele” non si può fare, non ti sarà concesso toccare il cielo con l’arroganza. Ecco quindi i Friedkin arrendersi e fare l’unica scelta possibile, afferrando nell’ultimo attimo utile, prima dell’apocalisse sportiva, che la Roma è dei suoi tifosi, ed è patrimonio di una città intera. Non si può scherzare con uno stadio regolarmente riempito da sessanta/settantamila persone, non si può rischiare di perderle. No, non si può rischiare di mettersi contro l’anima della città.
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Allora si ritorna a miti consigli, si ripone il futurismo dinamico americano a “stelle e strisce” nel cassetto, e da quello stesso cassetto si ritira fuori la storia, mortificata fino ad un attimo prima. La conseguenza è andare da Claudio Ranieri per un travaso di sangue giallorosso, e sperare lui sia disponibile ad una nuova trasfusione. Non c’è altro modo per riannodare i fili. C’è chi se ne frega di questi fili, vedi Claudio Lotito o Urbano Cairo, e c’è chi invece sa quanto questi fili siano importanti se si vuole crescere in risultati e utili. E non c’è americano disponibile a combattere una guerra di posizione, per loro o si va all’attacco o si chiude baracca. Per la soddisfazione delle ambizioni ciò è un indiscutibile pregio. Sir Claudio si stava godendo una tranquilla pensione(“potrei rimettermi in gioco solo per una Nazionale”), aveva deciso di chiudere la sua carriera in bellezza portando dalla “B” alla “A” il Cagliari, per poi mantenerlo nella massima serie, ed espletare un debito di gratitudine verso i sardi. Le persone perbene sono così. Ritornare alla guida tecnica della Roma, nel momento difficile in corso, vuol dire rischiare la sua chiusura in bellezza in terra sarda, mettere sul piatto di poter deludere proprio nel posto in cui non vorrebbe mai deludere.
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Vale davvero la pena a 73 anni, e dopo una luminosa carriera, rischiare così tanto? “Se la Roma chiama io non posso dire di no. E’ per la maglia, capisce”? Disse una volta in conferenza stampa rispondendo ad un giornalista che chiedeva lumi sul perché del suo ritorno alla Roma. E su queste parole si ripresenta la felicità del calcio antico, di uno sport reso così speciale da un Continente controverso e inquieto, ma capace di interrogarsi sul come stare al mondo. Siamo un bel posto dove vivere, e ci siamo conquistati questo a prezzo di grandi sacrifici e sofferenze. Vanno bene le autocritiche sugli errori che abbiamo fatto(la memoria non va mai trascurata), ma la nostra cultura ha stabilito come lo sport fosse per le persone, e non le persone per lo sport. Gli americani ciò non lo capiranno mai. Un conoscente di Leicester, tempo fa, a proposito dell’epica affermazione del club calcistico in “Premier League”, ha tenuto a dirmi come la vittoria ottenuta dalle “Foxes” alla guida di Ranieri abbiano sospeso la città in un lungo istante di felicità collettiva. “Le persone più anziane dicono che era dai tempi della II Guerra Mondiale che non si viveva un momento di felicità insieme. La sensazione di non essere da soli è bellissima. Siamo tornati ad essere una comunità. Claudio Ranieri non verrà mai dimenticato per questo”. Mi stava dicendo quelle parole perché ero italiano, voleva ringraziare il mio Paese per avergli concesso Ranieri. Mi sono sentito orgoglioso, fiero, e ho provato felicità. Non riuscirei mai a raccontare compiutamente quanto in quel momento mi sia sentito bene, quanto mi abbia aiutato quel sentirmi bene. Il calcio è una calamita di felicità, di buone intenzioni, per questo non lo si deve maltrattare.
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Chi non lo capisce deve farsi da parte, affinché non sia colpevole di ridurre una benedizione ad una maledizione. Negli ultimi tempi Ranieri aveva detto di sentire un po’ stretti i panni da pensionato che si era voluto attribuire, e l’intenzione di prefigurare un qualche ritorno c’era. In realtà non era il calcio a mancare a lui. era lui a mancare al calcio. All’aeroporto di Fiumicino c’erano tanti tifosi ad attenderlo, e tra loro il tennista Flavio Cobolli(numero 32 del mondo), che lo ha scortato fino all’automobile. Lo avrebbe fatto anche Lorenzo Sonego per il suo Toro e per il ritorno di Paolo Pulici. Nessuno più di un tennista conosce il valore del tornare a casa. Per amore del gioco e della maglia, questo è l’epitaffio giusto per uno dei più straordinari uomini di sport che l’Italia abbia mai avuto. E mentre lo scrivo, provo una felicità infinita.
Scrittore, sceneggiatore e regista. Tifosissimo granata e già coautore con il compianto Anthony Weatherill della rubrica “Loquor” su Toro News che in suo onore e ricordo continua a curare. Annovera, tra le sue numerose opere e sceneggiature, quella del film “Ora e per sempre”, in memoria del Grande Torino.
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