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Tra pubblicità e propaganda corre una differenza sottile, ma tenace, e dopo anni di ''normalizzazione'' del Toro non è possibile impossessarsi di illusori slogan e riferimenti a una storia leggendaria e a un mondo di valori in cui si è dimostrato di non credere (e di non voler valorizzare). Quest'anno faccio dunque mio l'approccio ragioneristico e sparagnino che contraddistingue le nostre campagne acquisti e che zavorra ogni ambizione sportiva. Mi abbonerò – forse – se avrò la prova concreta che non si tira solo a campare, ma che si vuole onorare la leggenda granata aspirando a obiettivi più alti della mediocrità che ci ha sfiancato e intiepitido.
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Lo faro' nel momento in cui si metterà insieme con le giuste tempistiche una squadra completa, almeno nelle intenzioni, affidata ad un allenatore che abbia almeno l'idea di cosa sia vincere. Fino ad allora, sospenderò il giudizio e proverò a vivere un'estate senza dannarmi per la lentezza e la qualità degli acquisti, per le improvvisazioni sconclusionate, per l'imperante filosofia della minima spesa, tanto più di cosi' non si puo' fare. Siamo una (gloriosa, se qualcuno l'avesse dimenticato) squadra di calcio che milita nel campionato di serie A, non un'asettica azienda in cui contano solo numeri, cifre e bilanci. Gli americani dicono ''it takes two to tango'', e la fede, l'amore e la voglia di vincere non possono sempre e solo essere chieste a che paga per sedere sugli spalti. Se questo patto non è chiaro, mi sa che il cammello quest'anno resta in giardino ad allenarsi per passare nella cruna dell'ago.
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