Perché, 75 anni dopo, si scrivono ancora libri sul Grande Torino? “Perché è una storia unica al mondo, non è mai successo ad una squadra di scomparire in un colpo solo e rimanere invincibile, forse solo quanto accadde al Manchester United può essere lontanamente paragonabile. C’era la qualità degli interpreti: chiunque lo abbia visto giocare, ti dice che Valentino Mazzola è uno dei tre più grandi giocatori della storia del calcio italiano. Soprattutto, la forza del Grande Torino andava molto al di là del suo valore tecnico. Rappresentava qualcosa più di una squadra di calcio, era totalmente in sintonia con la gente attorno. Quella squadra è stata il primo fattore di felicità per la gente dopo la guerra, dopo le macerie, dopo l’odio civile. Questo fa sì che abbia un posto nella storia non solo del calcio, ma anche del Paese. Ci sono tantissimi bei racconti: ad esempio ho letto una bella intervista sul Corriere della Sera al figlio di Ossola, che racconta aneddoti molto carini su Valentino Mazzola che andava al cinema”.
Come inviato hai raccontato tante partite e tante squadre in tutto il mondo. Ti colpisce ancora vivere il 4 maggio a Superga? “Io il 4 maggio a Superga sono stato pochissime volte. Mi piace molto andarci nei giorni successivi, quando rimangono le testimonianze di chi è salito, quelli che lasciano una sciarpa, un biglietto, un fiore. I giorni successivi a mio parere sono quelli più emozionanti. Vero, ho visto stadi e realtà diverse in tutto il mondo, ad esempio sono appena stato a Marsiglia, una città dove la passione per il calcio ti travolge. Ma la storia che ha il Torino è veramente la più emozionante che ci sia. Tante volte la racconto a qualche collega straniero che la conosce poco e vedo proprio che mi ascoltano rapiti. E mi vengono in mente le parole di Sarri, il quale da avversario si è spesso recato a Superga per rendere omaggio agli Invincibili: ripete spesso che, se tu hai il calcio nel cuore e passi da queste parti, non puoi non andare a Superga, perché è la storia del calcio”.
Non posso che cogliere questa occasione: da cronista attento quale sei, esiste davvero, per te, la possibilità che sia un nome per la panchina del Toro? “Quello che mi risulta è che lui, in questo momento, non abbia preclusioni di alcun tipo, a patto ovviamente che una società si presenti con un programma serio. Su Sarri posso raccontare anche un aneddoto. In pochi sanno che nel 1992, quando non era ancora conosciuto, andò al Delle Alpi per vedere la finale di Coppa Uefa di andata Torino-Ajax; il giorno dopo si recò anche al Filadelfia per vedere l’accoglienza dei tifosi nei confronti della squadra. Da semplice appassionato di calcio, gli rimase impresso soprattutto quel momento”.
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