Com'era Aldo?"Beh, aveva un assoluto pregio: è sempre stato uguale, da giocatore, da allenatore e da commentare. Una persona schietta, che diceva tutto in faccia senza tanti giri di parole".
Ieri, giovedì 2 gennaio, se n'è andato un amico, non solo un ex compagno..."Sì, proprio così. È morto un mio grande amico, sono e resto molto commosso. Trovo difficile commentare la notizia perché non so bene cosa dire".
Tra l'altro il vostro incontro si è inserito in anni professionalmente straordinari."Sì, ma la correggo. Furono straordinari anche se non avessimo vinto niente. Noi eravamo davvero famiglia. Sembra una frase fatta, in realtà serve a identificare quello che eravamo. Si tratta della pura realtà".
In campo e nello spogliatoio com'era? "Schietto, questo sicuramente. E poi era ironico. Quell'ironia non l'ha mai persa. Ci caricava con le sue battute, con il suo modo di essere. Però, quando si perdeva, bisognava aiutarlo perché ci teneva troppo alla causa. Era un trasgressivo, sapeva trasmettere fiducia a tutti. Lui partiva sempre da un presupposto: il Toro non era mai morto. L'ho sempre detto e lo ribadisco oggi: lo Scudetto del 1976 lo dobbiamo anche ad Aldo. Lui non era più in rosa ma il suo insegnamento era rimasto ed è stato fondamentale".
La storia narra che i giocatori di quel Toro sono rimasti sempre in contatto: conferma?"Confermo e aggiungo che non soltanto noi giocatori siamo rimasti in contatto, ma anche le mogli continuano a sentirsi ancora oggi. Ecco perché la parola famiglia è la più corretta per descrivere quel Toro. Oggi come ieri non è cambiato nulla. Aldo mi mancherà".
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