Ci sono ritorni che non sono semplici operazioni di calcio mercato, ma veri e propri salti nella memoria. Il ritorno di Gianluca Petrachi al Torino, ufficializzato oggi all’ora di pranzo con l’esonero di Davide Vagnati, appartiene esattamente a questa categoria: non è solo un cambio di direttore sportivo, è un cambio di era, di metodo e di simbolo. Dopo sei anni si chiude il ciclo Vagnati. Dopo nove anni, Petrachi torna. E quando Petrachi torna a Torino, inevitabilmente, la mente granata corre a quell’inverno del 2009 e ad una parentesi che è rimasta incisa nella memoria dei tifosi più appassionati: "La rivoluzione dei peones".

IL TEMA
Il richiamo dei peones: Petrachi e il Toro sospesi tra ciò che era e ciò che può tornare
Quando il Toro toccò il fondo
—Dicembre 2009. Il Torino è una squadra smarrita, impantanata nella Serie B, più vicina all’incubo della Serie C che al sogno della promozione. La piazza è esasperata, la contestazione è feroce, l’ambiente è tra i più ostili mai vissuti in epoca Cairo. Il presidente è costretto a una mossa drastica, quasi disperata: chiama Gianluca Petrachi per affiancarlo a Rino Foschi. La presentazione al Sisport è surreale, quasi cinematografica: bombe carta, petardi, tensione altissima. Cairo, i dirigenti e alcuni giornalisti restano di fatto bloccati in un container. È il battesimo del fuoco di Petrachi sotto la Mole. Un biglietto da visita che non lascia spazio a interpretazioni: lì non basteranno mezze misure, servirà una rivoluzione vera. Foschi si dimette poco dopo. A gennaio 2010 Petrachi prende in mano tutto e fa ciò che oggi in molti ricordano: rivolta il Toro come un calzino. Ventidue operazioni complessive, dodici acquisti. Una squadra rifatta dalla porta all’attacco. Un Toro che cambia pelle, volto, identità. Arrivano giocatori dalla Serie C, sconosciuti ai più ma con la caratteristica che era andata completamente persa: la fame. È così che nasce “la rivoluzione dei peones”: un gruppo senza stelle, ma con un'anima feroce. Quel Toro, guidato da Stefano Colantuono dopo il fallimento Beretta, si rialza dalle sabbie mobili, risale posizioni su posizioni, arriva fino alla finale playoff contro il Brescia. La promozione non arriverà, tra mille polemiche, ma ciò che resta è qualcosa di più profondo: un popolo che torna a riconoscersi nella propria squadra.
L'incredibile parallelo con il 2009
—Oggi il contesto è diverso. Il Toro è in Serie A, non rischia la retrocessione immediata, ma vive da troppo tempo in una condizione altrettanto pericolosa: la rottura con la piazza. Stadio svuotato, contestazioni, disaffezione e senso di immobilismo. Ed è qui che il parallelo diventa inevitabile. Anche oggi il Torino chiama Petrachi in un momento di crisi profonda. Anche oggi lo fa a ridosso del mercato invernale. Anche oggi, di fatto, chiede a quell’uomo di rimettere ordine dove l’ordine è stato smarrito. Il ritorno di Petrachi non è solo tecnico. È politico, emotivo, comunicativo. È un messaggio diretto alla piazza: il club riconosce l’errore, interrompe un percorso e prova a riconnettersi con la propria identità. Petrachi non ha portato solo giocatori negli anni a Torino. Ha portato idee, metodo, coraggio ed intuizione. Da Darmian a Immobile, da Glik a Belotti, fino alle intuizioni più recenti prima dell’addio: era un Toro che costruiva, che aveva una direzione chiara. Oggi il club torna a lui con una richiesta implicita ma pesantissima: ridare al Toro un’anima prima ancora di una classifica.
La nuova rivoluzione sarà possibile?
—È questa la domanda che aleggia sul Filadelfia: può esserci una seconda rivoluzione dei peones?Forse no, non con gli stessi presupposti. Forse sì, con lo stesso spirito. Perché non servono per forza dodici acquisti. Serve però lo stesso principio: giocatori che sappiano cosa significa indossare il granata, che accettino di “sporcarsi” per questa maglia, che non si sentano di passaggio. Petrachi torna in un Torino diverso, ma con un dolore simile: quello di una squadra che ha smesso di emozionare davvero la propria gente.
Il cerchio che si chiude, o che ricomincia
—Nel calcio i ritorni sono sempre rischiosi. Ma alcuni sono anche inevitabili, quasi scritti. Petrachi-Torino non è un semplice capitolo che si riapre: è una parte di storia che cerca una nuova direzione. Nel 2009 il Torino era a pezzi. Nel 2025 non lo è nei risultati, ma forse lo è nell’identità. E allora sì, il richiamo alla rivoluzione dei peones non è nostalgia. Il Toro ha di nuovo scelto di cambiare strada a metà del cammino. Ora spetta a Gianluca Petrachi dimostrare se questo ritorno è solo un’eco del passato… o l’inizio di un futuro diverso.
© RIPRODUZIONE RISERVATA


/www.toronews.net/assets/uploads/202505/22e9ccb4344a518ef7cff499fa1eca7d.jpg)