L'ex difensore - e oggi dirigente - del Torino narra un episodio e un malessere dell'adolescenza che lo hanno fatto allontanare dal calcio
Emiliano Moretti è stato un apprezzato calciatore del Torino che dopo il ritiro ha scelto di restare nella dirigenza granata, dove oggi ricopre l'incarico di collaboratore dell'area tecnica. Ha concesso un'intervista a La Gazzetta dello Sport nella quale racconta un episodio molto particolare che risale alla sua adolescenza quando era nelle giovanili della Fiorentina, si tratta di un periodo brutto della sua vita e nella quale ha abbandonato il calcio per un breve periodo. "Parlo di un argomento che ho sempre trattato con molto rispetto. Certi momenti sono pietre su cui si basa la crescita di una persona, diventano parte di te stesso. Non mi va però di condividere tutto, non sono uno che si lascia andare, anche se mi ritengo sensibile e sentimentale. A Firenze, dopo il torneo di Viareggio, ho una distorsione alla caviglia. L’infortunio comunque non ha inciso rispetto al problema principale. Mi curavo e non mi allenavo: è iniziato un periodo di grande difficoltà, faticavo ad abituarmi a una vita diversa, senza le mie certezze. In 2-3 mesi il disagio è aumentato sempre di più. Non ne parlavo con nessuno, non chiedevo aiuto: pensavo di poter combattere da solo".
Moretti racconta poi di come ha scelto di allontanarsi dal calcio: "Sono tornato a Roma, a San Giovanni. A papà Luigi e a mamma Maria dico: “Io smetto con il calcio”. I miei erano preoccupatissimi: hanno cercato di aiutarmi in tutti i modi, di farmi aprire. La mia reazione però è stata negativa: tante attenzioni mi davano fastidio. Se una cosa non mi fosse piaciuta, non ci sarebbe stato verso di farmi cambiare idea. La mia vita, dopo un’occasione d’oro, diventava un’altra. Con mio nonno tipografo e mio padre pure. Ho cominciato a lavorare in tipografia, mi piaceva. La Fiorentina, nel frattempo, mi ha trattato con molto rispetto".