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Il calcio era la sua grande passione, anzi era il suo grande amore. Non era un amore esagitato e neppure ossessivo, era piuttosto un modo per declinare le questioni della vita a cui teneva di più. Era amore per la sua città natia, Manchester. Era amore per la bellezza e la poesia. Ma era, soprattutto, amore per la gente e per il tempo che verrà. Il suo sguardo era continuamente rivolto verso il futuro, e verso le generazioni future erano rivolte molte delle sue preoccupazioni. Non riusciva a concepire l’attuale disattenzione di chi dovrebbe preoccuparsi di lasciare le cose un po’ migliori di come le ha trovate. Non è retorica, ma solo semplice verità, se ricordo a me stesso la sua ansia di lavorare per un mondo un po’ più decente. “Bisogna partire dai bambini se vogliamo avere qualche speranza di non smarrire definitivamente il senso del mondo”, soleva ripetermi spesso, di fronte ad un calcio ormai sempre più lontano dal “Teatro dei Sogni”, e sempre più immerso nella sua trasformazione in macchina mangia soldi. Ecco perché negli ultimi tempi si stava dedicando anima e corpo alla costruzione di una città dello sport a Ryad, che nella sua visione avrebbe dovuto essere riservata a bambini e adolescenti provenienti da tutte le parti del mondo. Per lui il calcio non era né un mezzo di riscatto, né un mezzo di redenzione.
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Il pallone per lui era un mezzo di formazione e di memoria, dove i sentimenti delle comunità potevano incontrarsi nel bel mezzo di un prato verde. Voglio dire una cosa con forza ai lettori di TN: lui credeva sul serio ad ogni parola che diceva o scriveva, persino nelle virgole e nei punti. Non era nato per il cinismo, e pur di non abbassarsi ad esso ha sempre preferito essere scambiato per un ingenuo o un antico. Personalmente mi veniva da ridere quando lo apostrofavano così: non lo conoscevano, è evidente. La sua più grande delusione è stata lo scippo ricevuto dell’idea della “Carta del Tifoso”, trasformata, dal Ministero degli Interni, in una volgarissima “carta di sicurezza”. Mi ha fatto promettere di non rivelare mai ciò che successe al Ministero degli Interni, nella calda estate del 2005. Manterrò la promessa, ma voglio che i tifosi sappiano come la Carta del Tifoso progettata da Anthony sarebbe stata uno straordinario mezzo per permettergli di entrare attivamente nella vita delle loro squadre del cuore. Non gli interessavano le polemiche gratuite, anzi: non gli interessavano proprio le polemiche. A lui piaceva argomentare, soprattutto per comprendere qualcosa di più del punto di vista del suo interlocutore, fosse il barista sotto casa o il Principe Alberto di Monaco. Era orgoglioso di essere inglese, ma amava profondamente la sua parte italiana, e negli ultimi anni era costernato nel vedere l’Italia scivolare sempre di più verso un baratro da cui non si vedeva(vede) il fondo.
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Il “Mondo Toro” lo aveva intrigato molto, ed era felice di incontrare i tifosi granata ogni settimana su “Loquor”. Sentiva di avere con loro delle affinità elettive e la stesso modo di vedere il calcio come dovrebbe essere, e non come è diventato. “Il Toro – diceva – è un’isola diventata incomprensibile per non ritrovarsi comprensibile nel calcio di adesso”, e si rammaricava come Urbano Cairo non avesse ancora imparato ad amare l’incomprensibilità granata. Pochi giorni fa, sentendo la sua ora farsi sempre più vicina, mi aveva affidato una breve riflessione di commiato per i lettori che avevano avuto la bontà di seguirlo in tutti questi anni: “ricordatevi sempre che voi(tifosi del Toro) non siete una razza in via di estinzione, voi siete la razza che resiste. Se anche lo temete, non scomparirete: siatene certi. La sorte è stata benigna, nel riservarmi la possibilità di parlare un po’ con voi. E’ stato un bel modo di chiudere questa vita, per me che ho sempre amato il calcio. Spero possiate perdonare se ogni tanto vi siete sentiti da me provocati, non era mia intenzione farlo. Vi auguro di trovare un presidente che sappia davvero interpretare il vostro stato d’animo, perché anche uno come me è riuscito a capire come per voi tifosi granata è questo, più che i soldi, davvero a contare”. Da stamattina non faccio che ricevere messaggi di cordoglio da ogni parte del mondo, e scorrendo la rubrica del tuo smartphone sembrava essere davanti ad un rotolo di carta senza fine. Pian piano ho cominciato a scrivere ai tuoi contatti, non per avvertirli che non c’eri più, ma per ricordargli che c’eri stato. Arrivederci Anthony, arrivederci amico mio. Ci vediamo alla prossima fermata.
Di Carmelo Pennisi
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