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Granata dall'Europa

Azzurro pallido

Michele Cercone Columnist 
Torna Granata dall'Europa, di Michele Cercone: "Leggere sui principali quotidiani dell'impresa realizzata dall'Italia..."

Leggere sui principali quotidiani dell'impresa realizzata dall'Italia contro l'Estonia fa quasi tenerezza. Celebrare il 3 a 1 con cui la nazionale si avvicina in pompa magna ai play off come un'impresa sportiva offre la misura di quanto in basso sia caduto il nostro sistema calcistico. La mediocrità è ormai accettata come un fatto compiuto e andare ai playoff in un girone composto da Norvegia (31 nel ranking Fifa dietro a Panama e Galles), Israele (76), Estonia (126) e Moldavia (156), non sembra scandalizzare più nessuno. Al contrario, dai commenti giornalistici si evince che di fronte a una cotal Norvegia, l'Italia (vincitrice di quattro mondiali e numero 10 del ranking) non ha mai davvero avuto serie chances di vincere il girone, dimenticandosi che la schiacciasassi formazione scandinava ha sì segnato valanghe di reti, ma lo ha fatto con formazioni zeppe di giocatori poco più che dilettanti, contro le quali invece la stinta compagine azzurra continua a faticare. Il problema è che ci si è ormai assuefatti al poco o niente che la federazione riesce a trarre dalla squadra tricolore, tanto da far sembrare normale una situazione surreale, in cui dopo due mondiali saltati, si rischia seriamente di non andare neanche al prossimo. Probabilmente questo gioco di understatement permette a più di un responsabile di questa situazione senza senso di mettere già le mani avanti in vista di un possibile prossimo fallimento. Accettare già da adesso che l'accesso al prossimo mondiale non è sicuro e che, anzi, si tratta di impresa improba a cui il prode Gattuso e suoi eroici cavalieri sono chiamati, permetterà in seguito di evitare contraccolpi pesanti per l'attuale sistema di governance. La narrativa dominante (ci abbiamo provato, ma era una missione impossibile) tende quindi a scusare e giustificare le ragioni per cui la nazionale italiana si aggira da anni in una plaude senza via d'uscita, senza però affrontare le vere cause organizzative e strutturali di questo scempio.

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La tesi secondo la quale il campionato italiano ha perso di qualità e competitività non regge all'analisi dei fatti: alcuni dei giocatori al centro del progetto azzurro militano in campionati di primissima fascia, e lo zoccolo duro è quello interista che si è giocato una finale di champions. Anche la scusa dell'assenza di giovani italiani di talento è stata sfatata dall'arrivo di ottimi profili: da Kean a Retegui, da Scalvini a Carnesecchi, per arrivare al più recente Pio Esposito. C'è invece di vero che la nazionale paga una legislazione sulla cittadinanza che impedisce il fiorire in azzurro di una nuova Italia fatta di giovanissimi talenti che sono italiani di fatto, ma non di diritto. Si tratta di un limite effettivamente severo, che ci impedisce di seguire le orme di paesi come la Francia, che ha potuto beneficiare di nuove generazioni di calciatori che da noi non avrebbero avuto la possibilità di indossare la maglia della nazionale. Resta la speranza che iniziative politiche intelligenti, come quella dello ius scholae, pongano riparo a questa situazione, i cui limiti si estendono ben oltre il calcio. In attesa di progressi, ci tocca tenerci questa nazionale azzurro pallido, che stenta a rappresentare il movimento sportivo più vasto e con il più ampio giro d'affari del paese. Per quanto riguarda la qualificazione ai mondiali, non ci resta che sperare in un playoff morbido, che ci metta al riparo dalle concorrenti più pericolose, anche se per far fuori questi azzurri stinti l'ultima volta è bastata la Macedonia del Nord. Per quanto riguarda invece le prestazioni nel girone di qualificazione, il dubbio sorge spontaneo: ma davvero è il caso di andarci al Mondiale, se siamo combinati cosi'?

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