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Ci sono buone cose in questa prima annata, come il lancio da urlo per Lukic nel 4-0 contro la Salernitana, ma una di quelle che rimane più impressa non è una giocata da campo nel senso classico del termine. A Udine Buongiorno torna titolare dopo tre panchine consecutive e al 52’ viene richiamato da Juric. Prima di uscire l’allora numero 99 si toglie la maglia e poi si gira verso l’arbitro chiedendo di essere ammonito. Un comportamento apparentemente fuori da ogni logica, ma che in realtà ha una motivazione: Alessandro è diffidato, tra due giornate c’è il derby e non vuole perderlo quindi prova a farsi ammonire per non rischiare di saltarlo con un “giallo” contro il Venezia. La rabbia sorda che ci prende dopo la partita, persa 2-0 nel recupero, porta qualcuno a criticarlo fortemente sui social per il gesto, ma se parliamo sempre del fatto che vogliamo che ci sia gente che ci tenga, quando uno di noi si comporta esattamente come speriamo o come faremmo noi stessi, mettiamo anche in maniera ingenua, come ci permettiamo di dargli addosso? Buongiorno non verrà ammonito, seguirà dalla panchina il ko contro i lagunari e subentrerà a Bremer all’89’ allo Juventus Stadium aiutando la squadra a stringere i denti per portare a casa un meritatissimo 1-1. Ma più di questo, conta la voglia che aveva di essere lì.
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Sembra stia nascendo qualcosa di bello, ma personalmente non voglio ammetterlo. Una parte di me non vuole credere alla storia di un ragazzo che tifa Toro, che viene convinto da quella persona magnifica che è Silvano Benedetti a diventare granata, che scala le posizioni fino a diventare titolare. La paura di essere scottati fa diventare severi, non ti fa commuovere quando Alessandro posta su Instagram un’immagine in cui allo specchio si rivede bambino col Toro addosso. Poi, a un certo punto, quando vedi che la fascia da capitano che, discutibilmente portata al braccio da Lukic e giustamente passata a Ricardo Rodriguez, finisce sul braccio del nostro quando lo svizzero non c’è, qualcosa si inizia definitivamente a sciogliere e, in primavera, deflagra. Chi se ne frega se si rischierà di star di nuovo male, possiamo dirci perdutamente innamorati di Buongiorno.
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Il tre maggio 2023, in casa della Sampdoria, Ilic crossa dal fondo da sinistra e Buongiorno, sul primo palo, brucia tutti e di testa trova la sua prima rete in serie A poi esulta fingendo di bere una tazzina di caffè, il caffè del buongiorno ovviamente. Il giorno dopo questa grande emozione ne arriva una ancora maggiore: Ricardo Rodriguez, da gran signore qual è, cede ad Alessandro l’onore di leggere i nomi degli Invincibili a Superga. Il Toro ha due capitani, di fatto, ed è giusto che spetti a chi vive il granata dalla più tenera età dare la voce a quel rito laico che si perpetua nel tempo. Hai voglia a non voler fare retorica, ma come si fa a non vedere qualcosa, un disegno o il compimento di un cammino davanti a questo? Quasi come a confermare una sorta di pensiero magico dopo i primi giorni di maggio Buongiorno sembra diventare sempre più forte, sempre più grande. Contro la Fiorentina una caparbia azione sulla sinistra lo porta a servire a Sanabria il pallone che Tonni scaraventa in rete per il pareggio e poi tutti e due vanno a esultare con la mossa del coccodrillo. Per un paio di fischi arbitrali discutibili, oltre che per qualche mancanza che possiamo imputare solo a noi stessi, la qualificazione alla Conference League sfumerà in extremis, ma abbiamo qualcuno in cui credere. Ivan Juric dirà che giudica Buongiorno l’unico intoccabile, perché rappresenta il Toro. Ha ragione, lo crediamo tutti e in un’estate in cui pensiamo che ci sarà un addio importante per finanziare la campagna acquisti, nessuno pensa a lui. “Per quanto riguarda gli altri ognuno ha il suo prezzo” ha detto il tecnico. L’anima del Toro non ce l’ha. Poi però succede qualcosa.
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Un agosto caldo oltre ogni sopportazione sta per finire quando una lama gelida ci accarezza la schiena: il Toro sta per cedere Buongiorno all’Atalanta. Tutti, ma lui no. Iniziano ore febbrili, si scorrono le notizie, qualcuno non vuole credere a ciò che accade, non vuole che al Toro venga strappato per l’ennesima volta un pezzo di identità. Anche nel calcio d’oggi dove, a volte, ci si ritrova a fare più i conti con la calcolatrice che con i sogni questa cessione sarebbe davvero un colpo basso anche se, come spesso accade in questi momenti, c’è chi inizia a farsi andare bene la cosa e a spiegare la bontà e la necessità dell’operazione con motivazioni razionali che non capiamo se davvero sentite o espresse per crearsi una consolazione mentre il cuore va a pezzi. La fine è nota: la volontà del giocatore è decisiva e Buongiorno, pur conscio di quello a cui sta rinunciando, decide di rimanere. Vuole ancora essere felice qui con noi. A casa. Molti di noi non hanno voglia di fare tante domande, di sapere esattamente cosa sia successo. Vogliamo solo godere di una cosa bella che ci sta succedendo.
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Il gran rifiuto sembra trasformare ulteriormente Buongiorno. Sempre più leader, sempre più trascinatore. Sembra grande il doppio in campo. A Salerno sblocca il risultato sugli sviluppi di un corner e avvia il 3-0 ai danni dei campani. Contro la Roma gioca una splendida prova su Lukaku che lo punisce nell’unica circostanza in cui gli viene lasciato uno spiraglio, ma il modo in cui Ale marca il belga è da manuale, con fisico e senso dell’anticipo. Quando Zapata trova il pareggio, al termine del lungo abbraccio fra compagni, Buongiorno si gira ancora una volta verso la Maratona ed esulta carichissimo, gasando tutti. In casa della Lazio, nel turno infrasettimanale, non stiamo giocando male, anzi. A un certo punto, però, il numero quattro va a terra da solo con espressione dolorante. Problema muscolare che al 27’ lo costringe a lasciare il campo. Fuori un mese, salterà anche il derby.
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Può l’assenza di un giocatore solo sgonfiare una squadra? Dati alla mano sì se quel giocatore ne incarna anche l’anima. Senza la sua anima i granata perdono con la Lazio, pareggiano in maniera deludente in casa col Verona, cedono l’ennesima stracittadina senza combattere e ne prendono tre in casa dall’Inter dopo aver perso, per un infortunio serissimo, anche Schuurs. A Lecce Buongiorno torna titolare e sembra si riaccenda la luce.
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Juric passa al 3-5-2 e la squadra, seppur ancora malaticcia, inizia a esprimersi meglio delle gare precedenti. Buongiorno torna in campo con una fame assurda, il primo tempo è pura voracità nel modo in cui cerca l’anticipo su Krstovic, facendo sentire il fisico quando può, quindi, famelico, si getta in attacco e segue l’azione nata da un lancio di Linetty per Ricci trovandosi pronto a scaraventare in rete il pallone che, toccato dall’ex empolese, sfila dalle sue parti. La ripresa è più dosata, ma comunque di alto livello. Il Toro vince su un campo difficile e lo fa grazie al suo capitano in pectore. Non è solo merito suo, ma è molto merito suo, sempre per quella questione dell’anima che finisce col contagiare e galvanizzare chiunque gli stia attorno. Solo i fischi contrari di Fourneau e di Doveri non ci hanno permesso di passare il turno in Coppa Italia e infilare tre vittorie consecutive in campionato, al netto delle nostre mancanze. Coi suoi difetti il Toro si sta ritrovando e deve soprattutto ringraziare questo figlio del Fila ad honorem.
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Siamo ai giorni nostri. Spalletti sceglie di puntare su Buongiorno al centro della difesa nella partita sin qui più importante della sua gestione. Alessandro viene ammonito nei primi minuti, si sa gestire e gioca una gara leonina così che anche i più distratti possano finalmente vedere che tipo di giocatore sia diventato. Ultimo Uomo gli dedica un articolo, Giuseppe Pastore lo menziona su Rasoiate (anche se il buon Pastor ne aveva già parlato molto bene in altri episodi), noi ce lo godiamo finché dura. Non sappiamo quanto durerà nel calcio di oggi, siamo consci che potrebbe essere meno di quanto vogliamo, ma ci sarà tempo, nel caso, per starci male. Le cose belle capitano poche volte e non parlo di Toro, ma parlo di vita. Quando ci sono abbiamo sempre timore di non meritarle o che finiscano presto. Proviamo a lasciare da parte tutto questo e viviamoci Alessandro finché sarà. Se lo merita lui, ce lo meritiamo noi.
Classe 1979, tifoso del Toro dal 1985 grazie a Junior (o meglio, a una sua figurina). Il primo ricordo un gol di Pusceddu a San Siro, la prima incazzatura l'eliminazione col Tirol, nutro un culto laico per Policano, Lentini e...Marinelli. A volte penso alla traversa di Sordo e capisco che non mi è ancora passata.
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