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Per esempio un ritorno di coppa in Ungheria a risultato già acquisito. Sull’1-1, infatti, Turbek si scontra con Kieft che si fa male al ginocchio. C’è sempre una prima volta in carriera, quella è la prima in cui il biondo deve uscire anzitempo per un infortunio e per giunta così grave. Si parla di una ventina di giorni, in realtà saranno due mesi. Quando torna, contro il Como alla seconda di ritorno, non è lo stesso Kieft, litiga col gol sia in Italia, dove a poco a poco perdiamo posizioni, sia in Europa, dove ci farà fuori il Tirol, o meglio l’arbitraggio vergognoso di Fredriksson. A volte ci si mette anche la sfortuna, come contro l’Inter dove il numero nove coglie una traversa incredibile con una violenta girata. Un pochino di sole torna alla penultima contro l’Udinese.
Il Toro non vince in campionato da cento giorni e chiude il primo tempo in svantaggio a causa di una rete siglata da Pasa. La rimonta inizia in principio di ripresa, quando Sabato, da destra, pesca in area sul lato opposto Dossena che crossa al centro sull’uscita di Abate: Kieft non ha difficoltà ad appoggiare in porta. Molto più bello il gol del 58’ su cross da destra di Corradini: stacco aereo potente e spettacolare che vale il 2-1. Marcature chiuse a 4’ dalla fine col giovane Fuser che prova un’azione personale poi lascia a Comi, sul cui centro rasoterra da sinistra, mancato da Abate, Wim è ancora rapace nell’insaccare. Tutti pensano a cosa sarebbe potuto essere quel Toro con questo Kieft, senza il maledetto infortunio di mezzo.
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Rimane una domanda senza risposta, perché Wim chiede di tornare in Olanda e viene accontentato. Si accasa al Psv Eindhoven di Hiddink che vince campionato (dove Kieft segna 28 gol in 32 gare), coppa nazionale e, soprattutto, Coppa dei Campioni. Nella cavalcata europea Wim trova una rete fondamentale, in spaccata su angolo, in casa del Bordeaux ai quarti e trasforma uno dei rigori nella finale contro il Benfica. Per non farsi mancar nulla vince anche l’Europeo con l’Olanda siglando, con un rocambolesco colpo di testa a 8’ dalla fine, il gol che permette di strappare la qualificazione alle semifinali ai danni dell’Irlanda nel girone eliminatorio. Continua a giocare nel Psv, salvo una parentesi poco fortunata proprio al Bordeaux, e a fare incetta di titoli nazionali, giocando in coppia con Romario, fino a fine carriera. Si toglierà lo sfizio di segnare anche a Italia ’90 con un gran tocco al volo contro l’Egitto. Fin qui tutto regolare, ci sarebbe soltanto da fare i conti coi nostri “se” e il pezzo finirebbe qua. Invece no.
La vicenda di Kieft ha un risvolto insospettabile che va al di là dei nostri rimpianti sportivi e viene fuori quando Wim scrive la sua autobiografia dove mette le cose in chiaro sin dall’introduzione: “Chi vuol leggere di strip bar, folli corse notturne in auto e sesso con modelle ha sbagliato libro. Non c’è niente di selvaggio in un uomo solo in una camera d’albergo, con 4 bottiglie di vino e una montagna di coca”. C’è un demone dentro Kieft e lo fa sentire terribilmente inadeguato, non lo diresti mai di uno che ha vinto la Scarpa d’oro a vent’anni, ma la sera in cui ritira il premio non si sente all’altezza di Platini e Rossi che sono di fianco a lui tutti belli disinvolti (“Ecco un perdente in giacca e cravatta”). Allora arrivano le insicurezze, arriva l’alcol come unico conforto a quelle sensazioni, anche se nessuno lo capisce, perché è professionalmente integerrimo. Poi, dopo il ritiro, all’alcol si aggiunge la droga, perché la voragine da riempire è sempre più grande. Wim Kieft, biondo come un angelo ci dimostra che gli anche gli angeli possono avere le ali spezzate e cadere, ritrovandosi semplicemente uomini. Gli uomini, però, hanno anche la possibilità di rialzarsi. Wim si impegna in un programma di riabilitazione, cade ancora, si rialza nuovamente, lavora in tv, a poco a poco si disintossica e trova il coraggio più grande, ossia quello di parlarne pubblicamente. Una delle foto più recenti di Kieft lo ritrae a Pisa, con la sua Scarpa d’Oro in mano: è venuto per donarla al museo della squadra toscana, per quanto lo hanno amato nel suo triennio. Sulla faccia c’è un sorriso sincero, sereno. E’ la cosa che conta di più.
Classe 1979, tifoso del Toro dal 1985 grazie a Junior (o meglio, a una sua figurina). Il primo ricordo un gol di Pusceddu a San Siro, la prima incazzatura l’eliminazione col Tirol, nutro un culto laico per Policano, Lentini e…Marinelli. A volte penso alla traversa di Sordo e capisco che non mi è ancora passata.
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