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Toro-Cagliari 5-0 – La riscossa
Il Toro è in serie B. Sembra incredibile pronunciare questa frase quando solo dieci anni prima i granata erano la squadra più forte di tutte, la macchina perfetta che faceva incetta di successi e accompagnava i cuori degli italiani nei duri anni della ricostruzione del secondo dopoguerra. Dopo Superga c’è un decennio disperato all’affannosa ricerca di una formula irripetibile che riassociasse l’aggettivo Grande alla parola Torino, ma che porterà quasi esclusivamente a salvezze tribolate fra continui sommovimenti societari fino al 1959, quando con la T di Talmone sul petto la frase con cui abbiamo aperto diventa vera: il Toro è in serie B. Eppure quello che sembrava e poteva essere la fine diventa un inizio. Il lungo viaggio che porterà il Toro al tricolore del 1976 comincia nel fango della serie cadetta. Se negli anni ’50 la gente granata aveva iniziato a creare il tifo moderno, raccogliendosi ancora di più intorno ai propri beniamini e ponendo i semi per quella che diventerà la Curva Maratona, nei ’60 inizierà a nascere una squadra forte e continua accompagnata da una società nuovamente all’altezza con Orfeo Pianelli alla presidenza e Beppe Bonetto principale dirigente. Queste figure al momento sono di là da venire, ma c’è un giocatore che può essere indicato come simbolo della rinascita del Toro: si chiama Giorgio Ferrini.
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L’anno della retrocessione Ferrini non c’è. È in prestito a Varese per un’annata proficua a livello sia tecnico che sentimentale, visto che conoscerà Mariuccia, l’amore della sua vita. Al suo ritorno trova il Toro al piano di sotto e una maglia da titolare che lo aspetta per cominciare una storia stupenda che non finirà mai. Esiste un prima e un dopo il centrocampista triestino con la maglia granata: Ferrini è la cesura, il passaggio simbolico dal Toro che tentava di sopravvivere a quello che ricomincerà a correre e caricare fino alla gioia unica del tricolore che lui festeggerà dalla panchina come secondo di Gigi Radice prima della tragica e ingiusta scomparsa di lì a qualche mese. L’altra cesura è il ritorno a Casa, al Filadelfia, dopo l’infruttuosa esperienza al Comunale lungi dal diventare la casa di una curva mefistofelica, ma per il momento solo un terreno con la gente più lontana e il tifo più freddo. E allora anche una retrocessione può essere un momento in cui si ridefinisce la propria identità tornando dove si è vissuta tanta gioia, con la gente ai bordi del campo e i giocatori che si possono quasi toccare. Il Torino ha iniziato il suo campionato con un buon punto sul caldissimo campo della Sambenedettese, pieno in ogni ordine di posti, ma il vero esordio è quello della seconda giornata, quello del ritorno al Fila, l’occasione per segnare di nuovo il territorio. Un bellissimo articolo di Vittorio Pozzo su La Stampa della domenica descrive benissimo la corrispondenza di amorosi sensi fra giocatori e sostenitori in quel tempio del gioco del calcio. L’ex ct della Nazionale si dice sicuro che il pubblico granata accorrerà in massa per questo ritorno in uno stadio rinnovato e non sbaglierà: almeno ventimila spettatori, parecchie migliaia rimaste fuori.
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Quando la squadra entra in campo vestita di bianco e senza la nefasta T dell’anno precedente sulla maglia, il pubblico la chiama a sé. Lascio ancora la parola a Vittorio Pozzo che descrive l’incredibile momento di comunione fra il Toro e la sua gente: “Ma ci si lasci dire che, di più risonante e significativo ancora del risultato, c'è stato, nella giornata un fatto: la dimostrazione inscenata dal pubblico alla squadra alla sua entrata in campo. L'undici del Torino che - peccato - non poteva rivestire i colori granata per evitare confusione con quelli dell'avversario, entrò in campo per primo, isolatamente, come per andare incontro ai desideri del pubblico. Più di ventiduemila persone erano nel recinto: i posti popolari erano rigurgitanti. La gran massa faceva spicco sul verde del terreno di giuoco, che si presentava in condizioni ottime. Entrò la squadra sul campo, e prese subito la rincorsa verso i posti popolari, e fu come se l'esercito degli spettatori fosse esploso, tanto potente fu l'acclamazione che la salutò. Un urlo lungo ed altissimo, in cui c'era fede, gioia e speranza, nonché lo sfogo di sentimenti diversi per tanti mesi compressi. Diecine e diecine di bandiere granata sventolavano sulla folla ed un po' dappertutto, fin sui balconi e sui tetti degli edifici vicini. Si fa volentieri abuso dell'aggettivo commovente nel mondo dello sport moderno. La manifestazione a cui abbiamo assistito lo merita tutto, questa volta, questo qualificativo. A più di una persona, che alle emozioni del giuoco del calcio ha fatto il callo, si inumidì il ciglio. Era una altisonante dichiarazione di fedeltà ad un sodalizio, che, colpito dal fulmini delle avversità non vuole morire. Una scena che durò una diecina di minuti, e che meritava, da sola, di essere vista”.
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Capitan Bearzot è in dubbio per un infortunio al piede patito alla prima giornata, ma alla fine torna in campo perché non può mancare a un appuntamento del genere. Giorgio Ferrini ha i galloni da titolare da subito, ma con una maglia differente dalla otto con cui siamo abituati a vederlo. L’ungherese Imre Senkey schiera Soldan, Scesa, Cancian, Bearzot, Lancioni, Bonifaci, Crippa, Mazzero, Virgili, Moschino, Ferrini. Il Cagliari si presenta per la prima volta a Torino ed è seguito da un discreto numero di sostenitori con tanto di vessillo dei Quattro Mori, ma c’è davvero troppo granata intorno per non assistere a un successo annunciato. I sardi reggono undici minuti poi l’impeto granata porta al primo gol: Virgili, definito “una catapulta” nel pezzo di Paolo Bertoldi sempre per La Stampa, allarga per Crippa che centra in favore di Moschino il quale onora il numero dieci sulla schiena con una conclusione che entra in rete dopo aver incocciato il palo. Dopo una parata di Soldan sul sardo Busetto, il Torino raddoppia al 14’ con Virgili che sfonda fra due difensori avversari e serve Ferrini. Giorgio scarta il portiere avversario e deposita in rete. Al 17’ Virgili triplica su centro di Crippa. Qualsiasi accostamento al “Quarto d’ora granata” sarebbe una blasfemia, ma anche quei sette minuti per far capire che il Torino è tornato sono significativi nella nostra piccola grande Storia. Al 37’ Moschino segna la quarta rete con un tocco di precisione su assist di Mazzero. La ripresa è accademia con Mazzero che cerca in qualsiasi modo di segnare, ma è sfortunatissimo, e la quinta segnatura arriva nuovamente dai piedi di un incontenibile Virgili che trasforma un rigore assegnato per un fallo di mano. Non sarà un campionato semplice, ma i granata lo chiuderanno al primo posto forti di un grande rendimento casalingo. La riscossa è cominciata.
PS: Mi permetto di dedicare questo piccolo scritto a don Riccardo Robella: torna con noi, ti aspettiamo.
Classe 1979, tifoso del Toro dal 1985 grazie a Junior (0 meglio, a una sua figurina). Il primo ricordo un gol di Pusceddu a San Siro, la prima incazzatura l'eliminazione col Tirol, nutro un culto laico per Policano, Lentini e...Marinelli. A volte penso alla traversa di Sordo e capisco che non mi è ancora passata.
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